La ribellione dei bengalesi al pizzo | Stangata per tutti gli imputati - Live Sicilia

La ribellione dei bengalesi al pizzo | Stangata per tutti gli imputati

Quelli dei piccoli bottegai di via Maqueda fu una ribellione di massa.

PALERMO – “È una lezione di dignità che arriva da un gruppo di extracomunitari”, aveva detto l’avvocato Valerio D’Antoni, legale di parte civile. Ed è una dura lezione quella che il Tribunale, presieduto da Daniela Vascellaro, ha inflitto agli imputati condannati per avere imposto il pizzo a undici piccoli commercianti e ambulanti originari del Bangladesh. Nel 2016 dissero “basta” alle angherie che subivano nelle loro botteghe di via Maqueda. Fu una ribellione di massa.

Queste le condanne: Giuseppe, Emanuele, Santo e Giacomo Rubino (13 anni e 5 mesi; 13 anni e 9 mesi; 8 anni; 3 anni e sei mesi); Emanuele Campo (6 anni e mezzo), Giovanni Castronovo (7 anni), Alfredo Caruso (5 anni), Carlo Fortuna (4 anni e sei mesi). Unico assolto Vincenzo Centineo, difeso dall’avvocato Roberto Cannata.

Erano imputati per estorsione aggravata dal metodo mafioso e dalla discriminazione razziale. Furono tutti arrestati in un blitz della Squadra mobile.

La nazionalità non dovrebbe essere un dato preminente ma, come aveva sostenuto D’Antoni, responsabile legale della “Federazione delle associazioni antiracket ed antiusura italiane” per la Sicilia occidentale, “oggi che va di moda e impatta nell’opinione pubblica questa fuorviante dicotomia tra italiani e non italiani, possiamo affermare che sono stati dei cittadini, che per nascita non sono italiani, ad insegnare ai commercianti italiani e palermitani in particolare, come si può fare impresa senza pagare il pizzo e rispettando la dignità del proprio lavoro”.

Le indagini della squadra mobile, coordinate dai pm Ennio Petrigni e Sergio Demontis,  partirono da un tentato omicidio, ripreso dalle telecamere. Un giovane studente gambiano prese le difese dei commercianti stanchi di subire soprusi. Gli spararono un colpo di pistola alla testa. Si salvò per miracolo. Emanuele Rubino in primo grado è stato condannato a 12 anni di carcere.

“Questi me li dai per i carcerati e se fai denuncia ti ammazzo”, dicevano ai piccoli commercianti per strappargli via i soldi degli incassi. Il clan Rubino avrebbe dettato legge nella zona del centro storico fino a quando non arrivarono le denunce dei commercianti accompagnati sin dalla prima fase delle indagini da Addiopizzo parte civile al processo con l’assistenza degli avvocati Salvatore Caradonna, Maurizio Gemelli e Serena Romano. Si erano costituiti anche il Centro Studi Pio La Torre e Sos Impresa, assistiti dagli avvocati Ettore Barcellona, Francesco Cutraro e Fausto Amato.

“Termina un processo delicato, anche con momenti di tensione, che ha fatto luce su una serie di gravi reati ai danni di 11 commercianti (per loro 5 mila euro di provvisionale per il danno subito, ndr) di origine straniera che – spiega l’avvocato Caradonna – dopo avere denunciato con l’assistenza di Addiopizzo, hanno testimoniato con determinazione  in udienza. Abbiamo assistito, sia in fase di indagine, che durante il processo, ad un grande esempio di resistenza civile, ancora più valoroso poiché proveniente da cittadini di origine straniera”. 

“Le pesanti condanne inflitte agli esattori del pizzo che erano stati denunciati dai commercianti di origine bengalese del centro cittadino è un fatto storico. Da questi commercianti viene un esempio civile, un esempio di coraggio e di intelligente capacità di rispondere alla violenza mafiosa facendo squadra e unendo le forze.” Lo ha dichiarato il sindaco Leoluca Orlando


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