Lucchese, storia di un incensurato "legato ai boss di Bagheria"

Lucchese, storia di un incensurato “legato ai boss di Bagheria”

Le accuse mosse all'uomo che ha costruito una fortuna nella grande distribuzione

PALERMO – Nel 2002 Carmelo Lucchese era titolare di tre piccoli supermercati a Bagheria con un patrimonio di 229 mila euro. Nel 2019 aveva superato i 150 milioni di euro. Il volume di affari nel 1997 era di 4 milioni e 400 mila euro, schizzato a quasi 73 milioni dodici anni dopo.

Nella vertiginosa scalata dell’imprenditore si addensa l’ombra della mafia. Un’ombra pesantissima che ha portato la Procura di Palermo a chiedere e ottenete dal Tribunale per le misure di prevenzione il sequestro dell’intero patrimonio di Lucchese.

Il primo a parlare di Lucchese fu Sergio Flamia, boss pentito di Bagheria. Nel 2014 disse che “a Palermo lui paga ogni quartiere… Onofrio Morreale gestiva tutto a lui”. Onofrio Monreale allora era il capo mandamento di Bagheria. Subito dopo l’arresto di quest’ultimo sarebbe diventato Flamia il referente di Lucchese per la risoluzione di una serie di vicende: “Ogni minima cosa veniva da me, sai che ho problemi con questo impiegato sai che…”.

Lucchese si sarebbe avvicinato ad un altro pezzo grosso della mafia bagherese, il capo andamento Giuseppe Scaduto, che nel 2008 si era messo in testa di rifondare Cosa Nostra d’intesa con alcuni boss palermitani. Grazie all’intercessione di Scaduto Lucchese non avrebbe pagato il pizzo per i punti di vendita di Bagheria. Ancora Flamia: “Mai chiesto né per conto di altri né per conto mio soldi di estorsioni a Lucchese mai… chisti su amici di Onofrio che a me mi risulta non hanno mai pagato”.

Flamia fu arrestato e scarcerato nel 2011. Appena libero venne a sapere che un altro mafioso, Giacinto di Salvo, era andato a chiedere il pizzo a Lucchese: “Ci dissi chi ci sta facendo nesceri sti piccioli…”. E Di Salvo gli rispose “2000 euro su boni”.

Con il blitz “Grande mandamento”, che sconquassò la mafia di Bagheria, le cose cambiarono. Flamia ha riferito che a Lucchese, per il punto vendita di Corso Camillo Finocchiaro, uno dei tredici sequestrati e da oggi aperto in amministrazione giudiziaria, era stato chiesto il doppio dei soldi: “Pagava in Corso Finocchiaro Aprile 500 euro al mese, 3000 per Natale e 3000 per Pasqua a Palermo“. Dopo gli arresti “hanno bussato di nuovo alla porta di Lucchese che volevano 5000 e 5000, il doppio di quelli che usciva e lui mi chiede aiuto”. Flamia ne avrebbe parlato con Gino Mineo che “l’ha sistemata lasciando tutto per com’era”.

Dell’estorsione al punto vendita aveva già parlato del 2008 un altro collaboratore di giustizia, Andrea Bonaccorso, che oltre a Scaduto aveva tirato in ballo un altro pezzo grosso della mafia del mandamento della Noce, Giancarlo Seidita. I soldi andavano alla famiglia di Porta Nuova, prima nelle mani di Tommaso Lo Presti e poi in quelle di Gaetano Lo Presti. In ultimo Scaduto ne avrebbe dovuto parlare con Gianni Nicchi, il piccitteddu che divenne capomafia di Pagliarelli, arrestato dopo un periodo di latitanza.

Lucchese nel frattempo aveva aperto altri supermercati e l’obolo ai boss palermitani andava pagato, sempre e comunque. In cambio, però, Lucchese sapeva di potere contare sull’aiuto dei mafiosi. Come quando sarebbe stato necessario far mettere da parte i suoi vecchi soci.

Un storia raccontata sempre da Flamia, convocato da Onofrio Monreale: “Ci chiama a me e a Carmelo Bartolone… Carmelo Lucchese della Conad dice che ha problemi con i suoi soci della Conad di Palermo… dice se ne devono uscire loro”. Così avvenne e Lucchese in segno di riconoscenza avrebbe regalato 25 mila euro a Morreale.

I vecchi soci hanno raccontato agli investigatori che li avevano convocati delle pressioni subite, della paura provata quando si videro piombare in azienda gli uomini di Bagheria. Ne scaturì un processo, ma Flamia fu assolto. Non erano stati trovati i riscontri necessari.

Sempre Cosa Nostra sarebbe intervenuta nel 2009 per fare rilevare a Lucchese un punto vendita a Palermo. Per questa vicenda sarebbe intervenuto fra gli altri Gaspare Romano, già condannato a 4 anni con sentenza definitiva per avere favorito la latitanza di Giovanni Brusca. In effetti la Gamac ha acquisito il ramo d’azienda.

È stato ancora una volta Flamia a raccontare di un nuovo favore fatto a Lucchese. E cioè di bruciare la saracinesca di un supermercato Eurospin che aveva aperto vicino alla sua attività. Una vicenda che costò l’incriminazione a Lucchese, ma l’inchiesta fu archiviata. Così come si chiuse con un nulla di fatto il processo per falsa testimonianza quando Lucchese negò di avere pagato il pizzo.

Per ultime sono arrivare le dichiarazioni di Filippo Bisconti, capo mandamento di Belmonte Mezzagno che 2019 disse di avere conosciuto Lucchese, “contiguo alla famiglia mafiosa di Bagheria”, e che il pizzo per il market di Corso Finocchiaro Aprile lo versava al reggente di Porta Nuova Paolo Calcagno. Aggiunse pure di essere convinto che Lucchese riciclasse i soldi della mafia.

Sospetti in questo caso, nulla di più. Nonostante l’assoluzione e l’archiviazione gli investigatori – i finanziari del Nucleo di polizia economico-finanziaria hanno fatto anche un lavoro di ricostruzione patrimoniale – sono certi che la sua contiguità con i boss sia acclarata. E hanno convinto anche i giudici delle Misure di prevenzione che hanno disposto il sequestro sulla base del quadro indiziario. Bastano gli indizi, infatti, a giustificare un provvedimento di misure di prevenzione.


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