La specialità siciliana è stata tradizionalmente ritenuta la più vantaggiosa tra le forme di autonomia riconosciute dall’ordinamento italiano, in considerazione dell’ampia potestà legislativa, del consistente numero di competenze amministrative e delle disponibilità di risorse attribuite alla Regione. Questa condizione di vantaggio si è progressivamente ridotta, e potrebbe adesso annullarsi, se non addirittura capovolgersi, in virtù del cosiddetto regionalismo differenziato, che consente alle regioni ordinarie di ottenere maggiori competenze e risorse per gestire con proprie leggi e con la propria amministrazione settori fondamentali per lo sviluppo economico sociale territoriale.
Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna stanno per concludere con lo Stato accordi che prevedono l’attribuzione per 10 anni di maggiori competenze in materie di ambiente, istruzione, tutela della salute, rapporti internazionali e con l’Unione europea, tutela e sicurezza del lavoro, commercio con l’estero, protezione civile, governo del territorio, porti, aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, ordinamento della comunicazione, beni culturali, professioni, ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi. Per finanziare le nuove funzioni e garantire “una programmazione certa del loro sviluppo” a queste regioni saranno riconosciute quote ulteriori del gettito tributario prodotto nei rispettivi territori, oltre all’assegnazione di risorse disponibili sui fondi destinati allo sviluppo infrastrutturale del Paese.
Negli scorsi mesi altre dieci regioni ordinarie hanno chiesto di ottenere maggiori competenze e le risorse necessarie per finanziarne l’esercizio, e da qualche anno a questa parte anche le altre regioni a statuto speciale hanno scelto di assumere a proprio carico funzioni precedentemente svolte dalle amministrazioni statali: dai servizi ferroviari di interesse locale alla gestione di incentivi, agevolazioni e servizi alle imprese (finanziati anche attraverso le risorse statali ed europee), dalla sanità regionale alla gestione degli ammortizzatori sociali, al finanziamento di infrastrutture di competenza statale.
In Sicilia, invece, negli ultimi anni si è registrata una tendenza al ridimensionamento dei poteri speciali di cui beneficia la Regione: la potestà legislativa si è notevolmente appiattita su quella nazionale; l’ordinamento finanziario autonomo previsto dallo statuto è diventato sempre più dipendente dal bilancio dello Stato, che ha progressivamente ridotto i trasferimenti e aumentato il prelievo di risorse regionali; le funzioni amministrative sono state gestite attraverso una struttura burocratica elefantiaca ed inefficiente che ha incrementato a dismisura i propri costi, e oggi impegna una quota consistente del bilancio regionale a fronte di un livello qualitativo e quantitativo di prestazioni e servizi non certo eccelso.
La traiettoria di sviluppo della specialità siciliana si è invertita: mentre in origine era lo Stato a cercare di limitare le competenze regionali, negli ultimi anni è stata la Regione a rifiutare non soltanto di acquisire nuove competenze amministrative, ma addirittura di esercitare alcune di quelle che lo Statuto le attribuisce, ed in particolare quelle più impegnative e costose, concernenti enti locali, sanità, istruzione ed università, che infatti continuano ad essere esercitate dallo Stato.
La difesa della specialità regionale si è incentrata sulla rivendicazione di risorse, tralasciando gli altri fondamentali profili dell’autonomia che consentono di adattare la legislazione e l’attività amministrativa alle esigenze ed alle specificità regionali.
I recenti accordi con lo Stato consentono alla Sicilia di ottenere maggiori risorse per far fronte alle difficoltà finanziarie degli ultimi anni e sostenere la gestione delle competenze attuali. Ma in una fase di prolungata stagnazione economica, in cui le politiche statali ed europee faticano a soddisfare le esigenze dei territori più svantaggiati, diventa essenziale recuperare e sviluppare le competenze legislative ed amministrative che condizionano la possibilità e la capacità della Regione di strutturare efficaci politiche sociali e di sviluppo e di incrementare la qualità e quantità di servizi e prestazioni pubbliche.
Se la Sicilia decidesse di difendere e sviluppare la propria autonomia seguendo l’esempio delle altre regioni, peraltro, lo Stato sarebbe tenuto ad attribuire alla Regione entrate di importo sufficiente a finanziare interamente il costo dei servizi e delle prestazioni attraverso quote di gettito tributario, cioè risorse di proprietà regionale, che la legge statale non potrebbe arbitrariamente ridurre. E la Sicilia avrebbe diritto ad ottenere trasferimenti (cosiddetti perequativi) che la Costituzione riconosce alle regioni che dispongono di un gettito tributario più basso della media nazionale per garantire livelli essenziali di assistenza pari al resto del territorio nazionale.
In questo modo la Regione otterrebbe le competenze e le risorse necessarie per gestire con proprie leggi e con la propria amministrazione settori fondamentali per lo sviluppo economico sociale territoriale, per finanziare un livello di servizi almeno pari a quelli offerti sul resto del territorio nazionale e contrastare il deficit strutturale ed infrastrutturale ed il gap derivante dall’insularità, ed inoltre i tributi versati dai siciliani resterebbero nel territorio regionale per garantire diritti fondamentali dei cittadini, aumentando il livello dei servizi o riducendo la pressione fiscale.