"La tragedia nel carcere di Catania?|Non è un caso, i problemi sono tanti" - Live Sicilia

“La tragedia nel carcere di Catania?|Non è un caso, i problemi sono tanti”

Il sindacato di Polizia Penitenziaria
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“La tragedia di oggi? Credo, come è normale, che si cercheranno le motivazioni nella vita personale del collega che ha sparato, ma io sono convinto che si tratti di un vero e proprio campanello d’allarme”. Calogero Navarra, segretario regionale del Sappe (Sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria), racconta le preoccupazioni e le tensioni di una categoria, le difficoltà di un mestiere difficile, di una quotidianità drammatica. Che è esplosa un’altra volta, oggi, con l’uccisione di un agente della polizia penitenziaria per mano di un collega.
“Io non posso entrare nello specifico della realtà del carcere di Bicocca – dice Navarra – ma posso certamente descrivere le carenze del sistema. A cominciare dalle strutture inefficienti e precarie. Per finire con una carenza di organico che rende il nostro lavoro ogni giorno più difficile”.
Sovraffollamento. Da questo, ecco venir fuori tutti gli altri problemi. Tensioni tra i detenuti, e tra questi e gli agenti. E, ancora tra gli agenti e i loro superiori. In una pentola in ebollizione che sono le carceri italiane, e siciliane in particolare.
“Noi – spiega Navarra – dobbiamo garantire il controllo e anche il trattamento dei detenuti, cioè il dialogo con loro. Ma alle difficoltà che si possono immaginare, negli ultimi tempi si è aggiunta una forte componente di extracomunitari con i quali il dialogo, per ovvie ragioni, è ancora più difficile”.
Navarra racconta di una vita carceraria vissuta sul filo del dramma, della tragedia dietro l’angolo. Che può accendersi per il più futile dei motivi. “La privazione delle sigarette, ad esempio, spesso crea risse furibonde”.
Risse difficili da controllare con un organico non sufficiente: “Il numero degli agenti è quello previsto nel 2001. Ma, nel frattempo, ci sono state attribuite nuove mansioni. A questo si aggiunge il fatto che in questi anni molti colleghi sono andati in quiescenza. Siamo sempre di meno, e spesso siamo oggetto di aggressioni”.
La descrizione di Navarra si sposta dall’ambito “professionale” a quello umano, individuale, per tratteggiare l’immagine di un lavoro a volte difficile da sopportare: “Noi siamo pur sempre uomini. E i problemi non finiscono e non cominciano solo nel carcere. A volte ci sono pensieri legati alla vita familiare, che ciascuno di noi si sforza di tenere fuori dall’orario di lavoro, ma le condizioni nelle quali ci troviamo a lavorare, di certo non aiutano a stare tranquilli”.
Difficoltà per ottenere congedi ordinari, riposi settimanali, l’agente di polizia penitenziaria, secondo Navarra, è sottoposto a stress enormi: “Ci troviamo a fare due, tre posti di servizio. Quando montiamo in sezione a volte dobbiamo controllare 75 reclusi. E non sto parlando di carceri come l’Ucciardone, ad esempio, dove la situazione è ancora più pesante”.
Detenuti che chiedono sigarette, che apprendono notizie tragiche dall’esterno, che chiedono di essere spostati dalla propria cella. E, in alcuni casi, anche cose molto più gravi: “L’altro giorno – racconta Navarra – un mio collega è entrato in una cella e ha salvato un detenuto che aveva appena provato ad impiccarsi. Vi lascio immaginare la scena. E quanto fegato ci voglia per sopportare certe immagini, come quelle dei carcerati che si tagliano le vene”.
Una polveriera, le carceri siciliane. Dove l’esplosione, tragica, come quella di oggi al carcere di Bicocca, è sempre dietro l’angolo. “Comprendere cosa significhi convivere ogni giorno con queste situazioni – conclude Navarra – non è semplice. E il dramma può arrivare da un momento all’altro. Come è successo a Catania. Adesso tutti cercheranno motivazioni personali nel gesto del collega. Ma chi fa questo lavoro, sa bene cosa significa vivere sul filo, ogni giorno”.


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