La Via Crucis della memoria spezzata - Live Sicilia

La Via Crucis della memoria spezzata

di ROBERTO PUGLISI I lavori del tram vanno avanti. Gli alberi vengono tagliati. E con gli alberi muoiono i ricordi dei ragazzi morti, nella via crucis della memoria spezzata.

PALERMO- Se cerchi l’orsacchiotto gigante che avevi appoggiato all’albero per ricordare chi non c’è più, lo ritroverai in un paradiso di zolle e cespugli, nella via crucis della memoria spezzata, con un’espressione curiosa, su un rimpianto che si stende a perdita d’occhio. Ci sono i lavori del tram. Hanno tagliato l’albero che reggeva i ricordi, per fare spazio, in viale Regione. Hanno tagliato gli alberi che reggevano gli ex voto per le anime dei morti negli incidenti stradali. Figli, figlie, ragazzi, ragazze. Tutto è evaporato in una schiuma celeste. E’ stato risucchiato col fruscio dei sogni quando vengono aspirati e noi non li vediamo più nemmeno sotto forma di visione, di luce venuta da un altro mondo. Qui, però, non si giudica. Non si lanciano anatemi contro la municipalità pro tempore. Si prende atto del fenomeno. Il tram è considerato necessario per la mobilità della città di domani. Ogni palermitano sta versando un obolo di traffico e di disagio ai lavori in corso. Gli alberi vengono tagliati al passaggio di operai e maestranze. I ricordi cadono giù.

Nella schiera dei coinvolti, ci sono i morti e i sopravvissuti, sfrattati dall’ultimo posto, dalla porzione di asfalto in cui i vivi sono morti, dalla scheggia di dolore, lì dove i sopravvissuti si recano in pellegrinaggio per parlare con i morti, come se fossero vivi. E’ un’usanza antica che si è trasformata ed è diventata un brandello di tenerezza, nella nostra implacabile contemporaneità. Quando un ragazzo muore con la macchina o con la moto, per un incidente, genitori, amici e parenti preparano un altare più o meno nel punto dell’impatto registrato dalla cronaca. Talvolta scelgono un albero come casa. Accanto all’usuale toponomastica delle strade, esiste una sotterranea società segreta della memoria, con i suoi culti, le sue regole. E’ l’esercito dell’amore inarrestabile. Non si ferma nemmeno a causa della dissolvenza del corpo. Cerca le carezze, dove non ci sono più mani. Cerca gli sguardi, dove non ci sono più occhi. Cerca il cuore, dove non c’è più il cuore.

E’ una religione che va oltre la conservazione delle spoglie e delle reliquie. Scavalca perfino la pietà di Priamo, re di Troia, che una notte si spinge fino alla tenda di Achille l’acheo, l’acerrimo nemico, l’assassino, per reclamare il cadavere di suo figlio Ettore. E si presenta con un tale sentimento della fratellanza umana che il rabbioso Achille si commuove. Piange le stesse lacrime del vecchio sovrano, ormai sconfitto, privo dell’eroe, a guardia delle mura di una patria in rovina. Nelle vie di Palermo, in un modo diverso, va in scena l’epica del lutto.

I padri e le madri di viale Regione partivano. Arrivavano. Chiedevano agli alberi custodi non di restituire ciò che non poteva essere restituito. Chiedevano alle foglie il miracolo di risentire, immaginandolo, un guizzo di voce, di avvertire il vento nei capelli, la risata a piena gola. Pregavano che i giorni tornassero indietro, per essere accanto al figlio nel momento del distacco, affinché si sentisse meno solo e meno colpevole di morire. Meno solo, come ognuno si sente quando muore. Meno colpevole, quando ognuno sa, nell’ora della morte, di lasciare troppe cose e troppo amore incompiuti.

Chiunque ha avuto notizia di un uomo o di una donna che hanno eretto un altarino per il figlio che non c’è più, lasciando i doni per gli dei: un pacco di sigarette, una maglia, un ciondolo, una catena. Io ho conosciuto Fortunato che aveva perso Salvuccio in un incrocio vicino al mare e perciò aveva apparecchiato un piccolo tempio dell’amarcord. La maglietta dell’Inter, poiché Salvuccio era un grande tifoso e un calciatore in erba di splendida prospettiva. Una cascata di fiori. Le dediche colorate dei compagni di scuola. Qualche animaletto familiare, per compagno di un lunghissimo sonno. Ogni mattina, passando da lì, rivedevo Fortunato che parlava con Salvuccio, per non ricevere risposta. Ingobbito. Invecchiato di dieci anni in pochi mesi. Con un innaffiatoio per abbeverare i fiorellini di campo, mentre le labbra sussurravano una preghiera. Infine, Fortunato andava via. Girava le spalle. Si caricava sulla schiena il dolore. Per un attimo aveva provato il sollievo di deporlo, mentre Salvuccio gli sorrideva, dalla foto della sua eterna e immutabile adolescenza.

Così era per i padri e le madri di viale Regione. Così non sarà più, a guardare le foto che un amico di Livesicilia ha pietosamente raccolto e inviato. L’orsacchiotto gigante e solitario, nella perdita d’occhio del rimpianto. I fiori rossi, travolti e pestati. I vasi rotti. I cocci. Gli animaletti di peluche anneriti. A Palermo le cose necessarie sacrificano le cose essenziali; è il nostro destino. Ma qui non si giudica. C’è appena l’occasione di riascoltare le parole di Priamo, re di Troia, in ginocchio davanti ad Achille: “Abbi pietà di me, pensando a tuo padre”. E Achille risponde: “Le nostre pene lasciamole dormire in fondo all’anima”. Dormire. Come dormono i sogni dei ragazzi, appoggiati agli alberi.


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