“Labisi resta in carcere” |La decisione del Tribunale - Live Sicilia

“Labisi resta in carcere” |La decisione del Tribunale

Tutti i particolari del provvedimento. Le accuse della magistratura.

CATANIA – Il Tribunale del Riesame ha deciso: il Gran Maestro Corrado Labisi deve restare in carcere. L’accusa di associazione per delinquere, formulata dal sostituto procuratore Fabio Regolo, sotto il coordinamento del procuratore capo Carmelo Zuccaro, ha retto a tutte le verifiche. Adesso, la maxi inchiesta condotta dalla direzione investigativa antimafia, sotto la direzione del primo dirigente Renato Panvino, si avvia alla chiusura.

A Corrado Labisi vengono contestati i reati di associazione a delinquere finalizzata all’appropriazione indebita di somme di denaro. Il Gip ha disposto gli arresti domiciliari a carico della figlia, Francesca Labisi, della moglie Maria Gallo e dei collaboratori Gaetano Consiglio e Giuseppe Cardì contestando il reato associativo finalizzato all’appropriazione indebita di somme di denaro.  Secondo l’accusa, Labisi avrebbe “gestito i fondi erogati dalla Regione Siciliana e da altri Enti per fini diversi dalle cure ai malati ospiti della struttura Lucia Mangano, distraendo somme in cassa e facendo lievitare le cifre riportate sugli estratti conti accesi per la gestione della clinica, tanto da raggiungere un debito di oltre 10 milioni di euro”.

I magistrati hanno indagato sull’Associazione Livatino, documentando che Corrado Labisi “ha impiegato – sostengono gli investigatori – ingenti somme distratte indebitamente dall’Istituto Lucia Mangano, per la copertura di costi relativi all’organizzazione del predetto premio, considerato un riconoscimento alla legalità nella lotta contro le mafie”.

Labisi avrebbe distratto “altrettante somme di denaro per iniziative connesse all’organizzazione – presso l’Hotel Nettuno – di eventi relativi all’Associazione “Antonietta LABISI”, madre di Corrado impegnata in vita nell’opera di assistenza verso i minori e gli anziani nelle zone di degrado catanesi”.

L’ISTITUTO – Dalle indagini è emerso che il trattamento riservato agli ospiti dell’Istituto Lucia Mangano “alla luce delle indebite sottrazioni riscontrate, sarebbe stato di livello accettabile, soltanto grazie all’attività caritatevole del personale ivi preposto, e non certamente per la illecita gestione della famiglia Labisi. Infatti, così come testimoniato da qualche dipendente “se fosse dipeso da loro, si continuerebbe a dare (ai pazienti) latte allungato con acqua, maglie di lana e scarpe invernali nel periodo estivo”.”

LA LEGALITÀ – Il massone Labisi sarebbe riuscito a costruire un’immagine modello di sé “tanto da indurre soggetti a lui legati a sostenerlo nelle proprie iniziative, essendo considerato un paladino in difesa della legalità”.

Dopo il blitz della Dia nei suoi uffici, Labisi viene intercettato dalla Dia, mentre parla con un funzionario dei servizi segreti in forza al ministero della Difesa: “Dobbiamo capire a 360° – dice Labisi – se c’è qualcuno che deve pagare perché questa è la schifezza fatta a uno che si batte per la legalità … vediamo a chi dobbiamo fare saltare la testa”. Le minacce erano indirizzate ai magistrati della Procura e a Renato Pavino, a capo della direzione investigativa antimafia.

180 POSTI A RISCHIO – “Va rilevato – scrivono i magistrati – che tutti gli indagati hanno dato corso ad una attività illecita anche associativa, molto grave perché a causa delle reiterate appropriazioni indebite per importi elevati, hanno creato i presupposti per la distruzione di un ente benefico, che è stato posizionato nel tempo a livello di un azienda con scopo di lucro e assoggettabile al fallimento, ponendo le basi concrete per privare la società civile di una struttura di assistenza ai bisognosi, soprattutto ai disabili e agli anziani, e con la prospettiva di una perdita di 180 posti di lavoro in un momento caratterizzato da livelli di disoccupazione rilevanti”.

Il Riesame ha disposto il dissequestro dei conti di Labisi.

 

 


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