L'antimafia in macerie | Possiamo rifarla? - Live Sicilia

L’antimafia in macerie | Possiamo rifarla?

La strage di via D'Amelio

Che cos'è l'antimafia? E' una Babilonia, un mero strumento di lotta per il potere? E' ancora il collettore di una speranza di riscatto? Su Livesicilia il dibattito è ampio. Qui una nuova puntata.

La nota dolente
di
5 min di lettura

Agrodolce. E’ il sapore che mi è rimasto dopo la lettura dell’analisi di Pietrangelo Buttafuoco. Devo liberarmene, però. Mi piace, è vero (come la caponata di mia moglie), ma non posso certo andare a cena stasera con questo sapore in bocca. Che fare, allora? Mettiamola così. Anche io, come Buttafuoco, non ho obblighi di diplomazia (grazie a Dio!) e quindi perché non continuare il discorso su Babilonia? Non trovo attraente, però, giocare al tiro al bersaglio, troppo facile: i personaggi grotteschi che popolano la sedicente antimafia mediatica, affaristica e di governo non meritano altro dispendio di energie vitali. Energie che a me servono tutte, invece.

Anzitutto per l’incarico più importante e gravoso che rivesto, cioè padre di una ragazzina di 15 anni e di un bambino di 10. Vedi, Pietrangelo, mai come in queste ultime settimane ho provato spesso un non so che di soffocante, un qualcosa che sale dallo stomaco e ti invade il cervello, poi l’anima e infine ti toglie il respiro. Prendo aria e subito organizzo la fuga. Non per me. Io sono ormai un rottamando, classe 1967, e tutto sommato ho raggiunto i famosi obbiettivi professionali cari a mia madre. Ma per i miei figli. All’età di mia figlia, o su di lì, avevo le idee chiare e una tenacia di mulo: i miei figli vivranno in una terra, la mia amatissima Sicilia, in una città, la mia adorata Palermo, che li renderà felici e orgogliosi. Niente più mafia, o quel minimo che basta a giustificare la necessità di tenere sempre alta la guardia, e poi arte, cultura, produzione di qualità, mare, boschi ecc.

C’era la battaglia appena iniziata, tutta in salita, beninteso. I migliori ce li ammazzavano uno dopo l’altro, con le bombe perfino. E però non ci scoraggiavamo. Pazzi, allora? No, davvero no. Perché pur ammorbati dalla maleodorante palude delle classi dirigenti già in corso di decomposizione, svettavano personalità di indubbio valore e coraggio. E soprattutto circolavano idee, proposte, progetti. Profumo di futuro. Anche quando tutto sembrava finito, dopo le stragi del ‘92, i migliori tenevano la testa al loro posto, ragionavano, analizzavano.

Ricordi, Pietrangelo? In quei giorni un gruppo nutrito di magistrati, ancora imbrattati dal sangue dei loro colleghi, riuscirono addirittura ad elaborare un documento di proposte normative che Governo e Parlamento di allora presero in considerazione, alcune le approvarono subito, altre più tardi. Tra loro anche chi oggi ha responsabilità giudiziarie di alto livello, ma non si è accorto che il divieto di espatrio richiesto per non far scappare il Grande Satana di Pubblitalia era giuridicamente scorretto, perché tutti sanno che per gli imputati di mafia è prevista – tutti lo sanno – la misura custodiale. Mi hanno detto: vabbè, è solo rimasto in silenzio mentre altri sbagliavano e perseveravano diabolicamente nell’errore. Sì, in silenzio come un busto risorgimentale con gli occhi sbarrati, imprigionato da un passato eroico che fu.

Ricordi, Pietrangelo? Dopo le stragi, un giovane magistrato pubblicava nientemeno che un libro di “dottrina” sull’associazione di tipo mafioso, dedicandolo al suo Maestro Paolo Borsellino. Uno dei migliori lavori in argomento, scritto sotto la guida dell’altro Maestro, quello accademico, con saggezza adulta, acume storico, perizia tecnica e culturalmente incentrato sulla necessità di applicare lo strumentario antimafia evitando “scorciatoie probatorie”. E adesso? Adesso un po’ ringhia, incattivito, spesso blatera, qualche volta minaccia ( cosa? chi?): un boiardo di provincia chiuso dentro la sua scatola di Skinner nissena che per chi gli vuole ancora bene è una spina conficcata nel fianco, penosa, dolorosa.
Che paradosso! Oggi che la mafia palermitana è fiaccata come forse mai lo è stata nell’era repubblicana, noi non festeggiamo gioiosi e rimettiamo in modo la nostra creatività, bensì sentiamo l’oppressione del fallimento, dell’ipocrisia sistematica, del “baraccone” tanto vacuo quanto sonoro, tanto censorio per i terzi quanto affaristico per se stesso.

Ma quel che mi (ti) chiedo è: noi dove siamo stati in tutti questi anni in cui si è consumato lo scempio? Certo, alcuni, anche più giovani, hanno fatto il loro lavoro, senza riflettori, caparbi, professionali: ad esempio i 43 poliziotti senza volto della sezione Catturandi della Questura di Palermo. Li hanno presi uno a uno, i Provenzano, i Lo Piccolo, i Nicchi. Mentre i nostri ex eroi o strombazzavano: “armi di distrazione di massa!”; o non si erano accorti che avevano la talpa mafiosa in casa, addirittura in piscina. Adesso la sezione è stata ridimensionata, nessuno sa dove sono i favolosi 43, forse qualcuno ha cambiato lavoro. Sicuramente non si sono lamentati e continuano a prendere lo stesso stipendio di prima, non più di 1500 euro. A me piacciono assai, loro.

Negli ultimi anni, quindi, non per tutti l’antimafia ha significato poltrone, carriere, televisione: c’è chi ha lavorato, a Palermo, a Trapani, a Reggio Calabria e altrove. Solo che non li abbiamo celebrati, coccolati come quegli altri. Chissà perché: forse anche qualche famoso giornalista e qualche altro emergente e ambiziosissimo hanno perso la bussola? Colpiti da un parasole scambiato per agenda, all’inseguimento dell’ultima velina giudiziaria da sottrarre al collega in cambio di paginate con fotografia per il generoso donatore, hanno finito per ridursi a meri replicanti dei protagonisti del circo. Mai pensiero critico, per carità! Quel pensiero critico, quel gusto per l’indagine indipendente che fece i loro predecessori grandi giornalisti, compresi quelli che furono ammazzati per questo.

E noi, Pietrangelo, dove eravamo mentre si edificava Babilonia? Niente più che ragazzini nei primi anni ’80, impegnati a più non posso per difendere i magistrati del primo maxiprocesso, abbiamo poi avuto la fortuna di avere qualcuno che ci pagasse gli studi. Ciascuno ha seguito i propri percorsi professionali, artistici, sentimentali, magari ha vissuto tra cielo e terra: e adesso?
Adesso aspettiamo “gli elefanti grossi e lenti di Annibale, il grande generale nero, che superò le Alpi e sconfisse i romani..”. Ma forse non potremmo anche aprire la strada a quelli che vengono dopo di noi e a cui spetta l’impresa di provare a scrivere un’altra storia per tutti? Abbandoniamoli, quelli, Pietrangelo, non occupiamocene più. Hanno perso, e noi con loro. Dedichiamoci ai nuovi e non riserviamo loro quel che è stato inflitto a noi.

 

 


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