"L'attesa infinita nell'ambulanza, vi racconto la mia odissea"

“L’attesa infinita nell’ambulanza, vi racconto la mia odissea”

Il racconto di una pediatra palermitana: "Ho preso il virus perché nel mio lavoro può capitare più facilmente. E poi..".
COVID, IL RACCONTO
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PALERMO-Io vorrei pregare l’assessore Razza di farsi un giro nei reparti e constatare di persona. Lui dice che i posti letto ci sono? Benissimo. Allora racconto la mia storia e vorrei sapere perché mi è successo quello che mi è successo”. Fortunata Durante, sessantanove anni, è un medico pediatra che lavora a Palermo, anche se tutti la chiamano Antonella. E’ molto conosciuta da tanti pazienti che sono in pena per lei da quando ‘Giovanna D’arco’, così l’hanno ulteriormente rinominata per la sua coraggiosa disponibilità, si è ammalata di Covid. E’ anche moglie di Italo Tripi, suo malgrado protagonista di un’altra storia che abbiamo raccolto.

“La mia odissea in ambulanza”

Lei stessa racconta quella che definisce una vera e propria odissea. “Ho preso il virus – dice la dottoressa Durante – perché nel mio lavoro può capitare più facilmente, nonostante le protezioni e le cautele. I primi sintomi, due settimane fa. Ero spossata, di una stanchezza che non si può spiegare. Ho ordinato la pasta al forno nel mio consueto bar: non aveva sapore, poi la febbre. Il quadro era completo. Ho allertato il mio medico che ha contattato le Usca, ma non ho mai visto nessuno. Così ho deciso di procedere con un tampone privato: positiva, come mi aspettavo”.
Comincia, e va così per molti, una coabitazione spaventata con il Covid. Si spera che non sia in forma grave, che passi senza fare danni. Purtroppo, per la dottoressa non è andata nel modo sperato. “Un giorno ho controllato la saturazione del sangue, mi sentivo ancora meno bene. Valori bassi. Ho chiamato l’ambulanza ed è arrivato il mezzo di Villa Sofia. Persone meravigliose, professionali, come il personale degli ospedali. Nessuno che perda la calma, nonostante i tanti motivi per perderla”.

“Ma non c’era posto…”

La dottoressa ripercorre il suo cammino: “E’ accaduto cinque giorni fa. Arriviamo al pronto soccorso dell’ospedale ‘Cervello’, non c’è posto. Ci tocca aspettare dieci ore in ambulanza, dalle dieci del mattino alle otto di sera, con i medici e gli infermieri bardati. Mi mettono in un tendone. C’era un freddo… Entro alle dieci di sera in uno spazio ricavato nell’astanteria del ‘Cervello’”.
Voglio ancora ripeterlo: nulla da dire sul personale che va soltanto elogiato perché si fa in quattro. Comunque, sono in un luogo di passaggio. Mi dicono che c’è qualcosa al Policlinico. Partiamo. Arriviamo e ci comunicano che quel posto è stato occupato, nel frattempo. Finalmente, mi sistemano al secondo piano, dove c’è Medicina. Se i posti letto ci sono, come mai mi è successo quello che è successo?”.


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