Le "bugie" di Avola e le verità del sopravvissuto alla strage

Le “bugie” di Avola e le verità del sopravvissuto alla strage

Sull'eccidio di Via D'Amelio la credibilità del pentito catanese ne esce a pezzi

PALERMO – Pochi mesi fa sulla scena è comparso Maurizio Avola, killer catanese. La scena è quella drammatica di via D’Amelio, la strada dell’eccidio del 1992.

I pubblici ministeri di Caltanissetta lo hanno bocciato, inviando nei mesi scorsi una nota stampa. Avola, protagonista anche del nuovo libro di Michele Santoro “Nient’altro della verità”, non è credibile. L’incriminazione per calunnia sarà la conseguenza dei suoi verbali.

Nella nuova relazione della Commissione regionale antimafia, qualora qualcuno avesse ancora dei dubbi, l’attendibilità di Avola ne esce a pezzi.

Ecco cosa ha raccontato il sicario delle famiglie catanesi Santapaola-Ercolano e come viene riassunto dalla Commissione: “Maurizio Avola è in via D’Amelio. Il suo ricordo è netto: lui travestito da poliziotto, le sirene della scorta, lo sportello dell’auto di Borsellino rimasto aperto, l’agente Manuela Loi che accelera il passo verso il magistrato perché ha visto qualcosa, il furgone parcheggiato, i bazooka pronti a completare il lavoro”.

Ed ecco invece la ricostruzione di Antonio Vullo, il poliziotto sopravvissuto alla strage. Una persona che certamente, per sua sfortuna, era in via D’Amelio: “Appena siamo arrivati in via Autonomia Siciliana, angolo via D’Amelio, io mi sono bloccato perché ho visto tante auto parcheggiate… però non abbiamo avuto il modo di fare nessuna azione perché il Giudice ci ha sorpassati proprio davanti via D’Amelio e si è parcheggiato al centro della strada. Di conseguenza io mi sono messo di fianco a lui, ho fatto scendere i componenti della mia auto che erano Claudio Traina e Vincenzo Li Muli e io mi sono posizionato alla fine di via D’Amelio dove c’era il muretto che delimitava il giardino interno… Mi sono posizionato fuori dall’auto con la pistola in mano, ho dato un’occhiata per vedere se c’era qualcosa di sospetto, ho visto che in quel muro di tufo c’erano dei buchi, però non ho notato nulla di particolare… La seconda auto, invece, è entrata direttamente… è andata dietro l’auto del giudice Borsellino. Io ho visto scendere il giudice Borsellino, non ha preso nulla dall’auto e nel frattempo la Loi ed Agostino Catalano gli erano arrivati subito accanto. Il giudice ha pigiato la prima volta i citofoni…”.

Vullo ricorda che “lo sportello del giudice era chiuso”. E la macchina aveva le sirene azionate: “No, no, assolutamente… I miei colleghi sono scesi proprio mentre il giudice stava scendendo dall’auto e si sono diretti verso il portone… mentre gli altri componenti dell’altra scorta, Agostino Catalano ed Emanuela Loi, si sono affiancati al giudice”. Borsellino “si è acceso la sigaretta, anzi gliel’ha fatta accendere Agostino Catalano, e poi si sono diretti tutti e cinque all’interno del cortile”. E l’uomo travestito da poliziotto? “Non c’era nessun agente. Lo avremmo notato e saremmo stati anche contenti di vedere una figura in più, anche se poi dovevamo vedere se era davvero un collega… però vedere una divisa in quelle occasioni sicuramente avrebbe fatto piacere”. Avola ha anche parlato della presenza di un furgone che c’era alla fine della strada, voi non vi siete accorti della presenza di un furgone? “No, assolutamente”.

La commissione è tranciante: “L’intera dinamica proposta da Maurizio Avola suona falsa. In via d’Amelio quel pomeriggio non c’era nessuno travestito da poliziotto. E soprattutto non c’era lui, Avola”.

Perché Avola decide di irrompere sulla scena? Secondo la Commissione, la sua è “una riscrittura radicale (e assai tranquillizzante) della strage, una versione dei fatti e dei mandanti che vorrebbe ribaltare la ricostruzione processuale offerta in questi anni da Spatuzza che in più occasioni ha confermato la presenza di un estraneo a Cosa nostra attorno alla 126 imbottita d’esplosivo il giorno prima della strage”.

Insomma, non esiste alcun fantomatico uomo dei servizi segreti nel garage in cui la 126 viene preparata per via D’Amelio; non ci sono presenze “forestiere” nella preparazione e nell’attuazione dell’attentato; non ci sono altri mandanti, né moventi occulti: solo Cosa nostra, il desiderio di Riina di sbarazzarsi dei suoi nemici storici, Falcone e Borsellino. Una storia di mafia, nient’altro che mafia. Lo certifica lui, Avola: ‘Sono io che ho preparato l’autobomba’”.

Sabato sera, con il braccio ingessato a Catania; domenica pomeriggio, con la divisa da poliziotto in via d’Amelio. “Basterebbe questo ossimoro, assieme alle altre incongruenze citate, ad archiviare la vicenda come l’effetto di un’improvvisa ansia di protagonismo, una tardiva vanità di Avola che lo porta, mentendo, a collocarsi sul teatro del più atroce eccidio di mafia della nostra storia: è lui il mafioso incaricato di preparare la 126, il testimone diretto della strage, l’ultimo a guardare negli occhi il giudice prima di dare il segnale…”.

Eppure il procuratore generale Roberto Scarpinato ha parlato di depistaggio, non di semplice vanità. Com’è possibile che Avola non dica quello che ha messo a verbale e che ha ripetuto sempre in tutti i dibattimenti?


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