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Le Città metropolitane |a rischio impugnativa

Domani l'Ars dovrebbe affrontare il tema delle Città metropolitane. Un ente intermedio che non è previsto dallo Statuto

L'analisi
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Se il Governatore Crocetta e la sua la fibrillante maggioranza sono riusciti a fare approvare dall’Assemblea Regionale Siciliana tre quarti della famigerata riforma dell’ente intermedio siciliano, la partita non si è ancora conclusa. Ma questa volta le parti che scenderanno in campo domani pomeriggio non saranno rappresentate dalla maggioranza e dalla minoranza politica, ma dall’Ars nella sua quasi totalità dei componenti, e dal Commissario dello Stato. Infatti sull’art. 7 del disegno di legge n. 642 che disciplina la istituzione delle Città metropolitane, per il quale, diversamente dai Liberi consorzi di Comuni si registra un fronte di consenso politico più ampio, si gioca una sfida più complessa e dai connotati più giuridico-istituzionali che politici.

Il citato art. 7 del ddl n. 642 è infatti ad evidente rischio d’incostituzionalità perché, in disparte la tentata fictio juris operata attraverso l’apparente denominazione “metropolitana” che si vorrebbe fare assumere alle attuali Città di Palermo, Messina e Catania, pretende di istituire un modello di ente intermedio non previsto dall’art. 15 dello Statuto della Regione Siciliana. Che trattasi di una finzione poco sostenibile agli occhi attenti, non solo del Commissario dello Stato, lo dimostrano le successive disposizioni contenute nel citato ddl ed in particolare il comma 5 del medesimo art. 7, e soprattutto l’art. 8 del ddl che disciplina le modalità di adesione dei Comuni alle costituende Città metropolitane. Né, la previsione programmatica contenuta nel comma 5 dell’art. 7, attraverso la quale si rimanda ad un ulteriore momento legislativo la disciplina dell’ordinamento delle Città metropolitane, aiuta ad escludere la natura sostanzialmente innovativa del modello di ente intermedio che si vorrebbe introdurre nell’ordinamento siciliano.

Al contrario, da un’attenta lettura delle citate disposizioni emergono chiari e nitidi gli indicatori sintomatici di un modello di ente intermedio, ancorchè governato mediante sistemi elettorali di 2° grado, diverso da quello ancora oggi consentito dall’ordinamento siciliano è più comunemente noto come “area metropolitana”. Al di là del nomen iuris di volta in volta utilizzato dai legislatori statali e regionali e delle questioni connesse al dimensionamento degli spazi territorialmente configurati, il punctum pruriens del tema concerne la sostanziale differenza tra il modello di area metropolitana prevalentemente funzionale ancora oggi previsto dalla vigente l.r. n. 9/86 – il solo consentito dall’art. 15 dello Statuto – e il modello di area, ovvero di Città metropolitana, che il citato ddl n. 642 vorrebbe introdurre in Sicilia.

Il carattere meramente funzionale dell’individuazione e della delimitazione delle aree metropolitane della l.r. n. 9/86, trova conferma nella determinante circostanza che, a differenza di quanto accade oggi col ddl in trattazione n. 642, non viene prevista la costituzione di nuovi organi preposti al funzionamento delle aree stesse. Siamo infatti in presenza di una super Provincia regionale che non solo non mantiene la propria permanenza nel sistema siciliano delle autonomie locali ma, al contrario, viene potenziata e dotata di maggiori compiti, in forza del trasferimento in capo alla stessa di più funzioni amministrative rispetto alle restanti Province regionali. Funzioni amministrative che, per la loro rilevanza sovra comunale o di area vasta, vengono sottratte ai Comuni in vista di migliori risultati sul piano dell’efficienza, dell’efficacia e della razionalità. Quindi non una nuova tipologia di ente sub provinciale, ma più semplicemente un diverso assetto delle funzioni ripartite tra i due livelli di governo locale presenti nell’ordinamento regionale.

Illuminante in questa direzione è quanto già affermato dalla Corte Costituzionale con sent. n. 286/1997 secondo cui “nel modello siciliano, il governo dell’area metropolitana assume una fisionomia prevalentemente funzionale, comportando un mero trasferimento di funzioni di c.d. area vasta dai comuni alla provincia regionale (……) senza che ad esso si ricolleghi, così come accede invece per la legge n. 142 del 1990, un riassetto istituzionale interno all’are medesima”. In sostanza, la Corte Costituzionale ha già affrontato detta questione, riconoscendo alla l.r. n. 9/86 di avere previsto l’unico modo possibile per individuare delle aree metropolitane senza violare l’art. 15 dello Statuto che, come già detto, non prevede l’istituzione di enti diversi rispetto ai Comuni ed ai loro Liberi consorzi. Tema controverso che è stato sollevato proprio in occasione di un contenzioso presso il TAR di Palermo sorto nei primi anni novanta tra la Provincia regionale di Catania e il Comune di Catania (governati, ratione temporis, rispettivamente dall’On. Nello Musumeci e dall’On. Enzo Bianco). L’allora Sindaco di Catania che, ironia della sorte adesso invoca con vibrante veemenza l’esigenza di istituire la Città metropolitana di Catania, eccepiva il fatto che l’area metropolitana così come concepita dalla l.r. n. 9/86 non poteva essere individuata perchè non prevista dall’art. 15 dello Statuto. La Corte Costituzionale, rispondendo al quesito di costituzionalità sollevato dal TAR nei citati termini escludeva, in mancanza di una modifica all’art. 15 dello Statuto, l’introduzione nell’assetto dell’ordinamento locale regionale di un ente di governo locale diverso da quelli espressamente previsti, accettando il solo modello funzionale di area metropolitana individuato dalla l.r. n. 9/86 proprio perché non comportava la nascita di un nuovo ente.

L’individuazione e delimitazione delle aree metropolitane in Sicilia non può comportare, quindi, l’istituzione di un nuovo ente come si pensa di fare attraverso il citato art. 7 del ddl in discussione, non essendo questa l’articolazione dell’ordinamento delle autonomie locali prevista dall’art. 15 dello Statuto, ma può costituire soltanto il necessario presupposto per porre in essere le ulteriori attività decisionali in ordine alla forma di gestione che consentirà poi l’effettivo esercizio delle relative funzioni.

Corollario di questo ragionamento è che anche l’eventuale adeguamento dell’ordinamento siciliano ai “principi dell’ordinamento della Repubblica” contenuti nell’art. 23, comma 5, del ddl “Delrio” n. 1542 del 20/08/2013 in materia di Città metropolitane, che nei giorni scorsi il Premier Renzi ha suggerito di accantonare in attesa di una contro-riforma del titolo V° della Costituzione, richiede non la “sbrigativa” istituzione delle Città metropolitane di Catania, Messina e Palermo, ma la più complessa ed impegnativa introduzione di tale tipologia di ente locale all’interno dello Statuto speciale (che ricordiamo avere rango costituzionale), accanto ai Comuni ed ai Liberi consorzi di Comuni.

Pertanto, se possiamo accettare la trasformazione delle attuali Province regionali in Liberi Consorzi di Comuni in forza di una stretta e formale adesione al dato testuale dell’art. 15 dello Statuto, il medesimo e rigoroso metodo non può non essere seguito anche per evidenziare l’impossibile introduzione con legge ordinaria delle ambite Città metropolitane di Catania, Palermo e Messina. Delle due l’una, o applichiamo sempre lo Statuto o non lo applichiamo mai.

Ci rendiamo perfettamente conto che un’eventuale impugnativa del citato art. 7 destabilizzerebbe la nascita dei Liberi consorzi di Comuni, ma continuare a “scaricare” all’Ufficio del Commissario dello Stato la cronica incapacità dell’Ars di legiferare conformemente alle norme costituzionali è un’abitudine che non possiamo contribuire ad alimentare.

 


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