Le ragazze (invisibili) della notte - Live Sicilia

Le ragazze (invisibili) della notte

Una ragazza della notte è morta a Palermo. Nessuno l'ha vista, nessuno la vedeva. Noi non vediamo il dolore delle ragazze della notte.

Non l’ho vista. Così ha detto agli investigatori l’uomo che ha travolto Fouzia Chahid, ragazza marocchina di trentotto anni esposta in vetrina, col suo corpo, in via Lincoln. A prescindere da quale sia la verità di un incidente sui cui si indaga, l’affermazione è esatta oltre ogni intenzione. Non l’ha vista. Non le vediamo. Nessuno vede le ragazze della notte.

Le ragazze della notte di Palermo sono invisibili. Non le vede la polizia, perché sarebbe inutile. Non si può contenere col secchiello della legge il mare della tratta. Non le vedono le donne che si sono salvate, per differente destino, perché sarebbe scomodo. Come accettare la violenza esibita sui corpi delle donne perdute e dormire sonni tranquilli, in un’epoca di lanciatrici di comunicati sulla dignità femminile che dimenticano di proteggere le creature più deboli? Non le vede la politica, se non in termini di campagne propagandistiche. Non le vedono gli uomini, le sbirciano: tornando a casa, dal lavoro, se il tour propone una digressione ludica, accettano volentieri di dare un’occhiata, per fare o semplicemente per guardare e non toccare.

I maschi professionisti sanno che le fantasie, lo struggimento, l’eccitazione più che la consumazione, rappresentano un antidoto alla noia. Le “buttane” ai bordi dell’asfalto, nella depressione di Palermo, sono una luminaria che intriga la fiera perversa e condivisa della mascolinità. Si favoleggiano cose da mille e una notte. Si raccontano – nei circoli delle barzellette da caserma – di strepitose nigeriane, di egiziane prodigiose, di rumene dispensatrici di miracoli. Così gli uomini, malati di impotenza dei sentimenti, esorcizzano la disperazione delle schiave, per alibi, per definire in termini di gioco ciò che è orrore.

Un po’ è la tradizione a ravvivare la compravendita, tanto più necessaria, per contrappasso, al sentimento di inferiorità che calza i pantaloni in tempi di donne con le gonne trionfanti. Un po’ è la novità della solitudine contemporanea, munita di virtualità e priva di relazione. Il sesso clandestino, vagheggiato o effettivo, offre una consolante putrefazione. Rimette al centro del villaggio la chiesa dei maschi professionali. Dà l’illusione di un rapporto nel deserto degli affetti. E poco importa che sia impossibile stabilire un vero contatto tra un dominante e un dominato, tra il predatore che è lì per imporsi con una banconota da venti euro e la preda che si trova nello stesso luogo perché è costretta ad accettarla. Le bugie hanno gli abiti corti. Si accontentano di un residuo di nudità, per costruire menzogne.

Al crocevia degli ipocriti ci sono loro, le invisibili ragazze della notte. Il perbenismo di sinistra le esclude, sceglie battaglie più remunerative, ciclostila dissertazioni sul ‘femminicidio’, parola che racchiude un elemento di inconsapevole razzismo. Il perbenismo di destra le condanna. Il perbenismo delle donne salve le nasconde. Il perbenismo degli uomini impotenti le compra.

Se una volta passerai con la macchina per quel mercato di strade – che tu sia donna, uomo, di destra o di sinistra – avvertirai comunque il dolore, a dispetto dell’oscurità. Sentirai la fragilità dell’anima sui tacchi. Pezzi su pezzi compongono la trama di un abbandono che sceglie trincee sperimentate per ripararsi.

In via Lincoln le ragazze della notte, le “buttane”, i trans, chiacchierano a distanza, nel carosello di fari. Dividono le sigarette nella terra di nessuna. Lì dove Fouzia è morta, c’è un capannello che si presta mutuo soccorso, quando può. Si intravvede ancora qualche labile segno dell’ispezione cadaverica. Più giù, in zona porto, accanto a un distributore di benzina, le signorine dell’Est sono amiche tra di loro. Condividono lo stesso centimetro di libertà e lo usano per guardare qualcosa sul cellulare. Ridono, come farebbero compagne di scuola. Si scambiano confidenze. Sembrano uccellini sui trampoli di stivaloni inaccessibili. Squadre di cacciatori in libera uscita perlustrano il quartiere, quasi tutti in macchina, alcuni a piedi. Grugniscono, si fanno forza con le barzellette da caserma. Raccolgono sesso e commiserazione.

Alla Favorita, nel verde del parco reale, c’è uno slargo con una ragazzina nigeriana in attesa. Un tizio con un furgone si ferma ogni sera. Accosta. La invita a salire sul retro. Quando tutto è compiuto, lei torna al suo posto, lui rimette in moto, la saluta con un sorriso e con la mano aperta, come se fosse qualcuno di famiglia. Non si può dire a chi appartenga la solitudine più grande. A qualche cespuglio di distanza, c’è la ‘Signora Palermo’, anziana prostituta accompagnata da cani randagi. Non c’è mai nessuno con lei, se non quei cani. La ‘Signora Palermo’ prende l’autobus al centro di mattina. Ritorna nella sua stanzetta col buio. Pezzi su pezzi nascondono le fisionomie. Non permettono di scorgere il capitolo successivo.

Se passerai per la cruna del dolore della ragazze della notte, scuserai l’indifferenza con la noncuranza. Potrai sempre dire: non le ho viste, non è un problema mio. Dimenticherai, pensando che basti non avvistare l’orrore affinché sia invisibile. Ma se presterai l’orecchio, sentirai le pulsazioni, i battiti nel cuore delle donne perdute. Sono i cuori, non i corpi in vetrina, che battono. Continuano a battere e a sperare, nel cimitero dei nostri sguardi spenti.


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