"L'economia della speranza" - Live Sicilia

“L’economia della speranza”

Rosario Faraci, Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese dell'Università degli Studi di Catania offre uno spaccato del mondo occupazionale catanese con i numeri della "crisi" ma anche spunti per "non arrendersi".

PRIMO MAGGIO
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3 min di lettura

CATANIA – La ricorrenza del 1 maggio obbliga ad una riflessione sulla questione lavoro anche a Catania. A livello macro, c’è una situazione di profondo cambiamento strutturale dell’economia mondiale, con nuove logiche di organizzazione della produzione, degli scambi commerciali fra Paesi e del lavoro giovanile e non. L’Italia sta subendo tali logiche, ma non riesce sempre a governarle. Nel nostro territorio, in cui tali fenomeni sono più accentuati, si assiste a due movimenti. Cominciamo, sfogliando le pagine dell’Economia della Speranza. Le sfavorevoli condizioni socio-economiche stanno modificando l’atteggiamento dei giovani: la loro attitudine alla mobilità, al sociale e all’imprenditoria possono diventare caratteristiche competitive.

A Catania, negli ultimi ventiquattro mesi, grazie ad un’azione sinergica fra i giovani di Confindustria, l’Università di Catania, alcune grandi imprese (tra cui Telecom) e un plotone di bravi giovani professionisti, sono maturate diverse iniziative imprenditoriali, si è insediato sul territorio un acceleratore di nuovi business in aggiunta ad altri incubatori preesistenti, sono nate start up innovative: ben 27 sulle 79 registrate in Sicilia. Il tasso di sopravvivenza a tre anni delle imprese costituite nel 2010 è pari al 75%. All’orizzonte, si profilano ulteriori novità che, per i nostri giovani, costituiranno buone opportunità. Partiranno a giugno le prime call dei bandi europei dedicati alle PMI innovative nell’ambito del progetto “Innovation in SME’s”. Oggi 1 maggio, come preannunciato dal Ministro del Lavoro Giuliano Poletti, si darà il via in tutta Italia al programma europeo “Garanzia Giovani”, che ciascuna Regione sarà libera di declinare in modo autonomo, per assicurare nuove risorse anche per creare un sistema di informazione e orientamento rivolto ai giovani NEET. Non dimentichiamo, infine, il Piano Giovani della Regione Siciliana.

Devono leggersi però anche le altre pagine, quelle dellEconomia della Crisi. I numeri sono allarmanti nel nostro territorio. E’ “credit crunch” nel sistema bancario catanese: dal 2010 al 2013, il volume dei prestiti alle imprese e alle famiglie è passato da 12.295 a 10.950 miliardi di euro, mentre l’ammontare dei depositi si è leggermente accresciuto. In queste condizioni “fare impresa” diventa estremamente difficile.

Dal 2012 al 2013, il numero di imprese soggette a procedure concorsuali è aumentato del 3,9%, quello delle imprese in scioglimento o liquidazione del 2,4%; diminuito di mezzo punto percentuale il numero delle imprese attive (alla fine del 2013 erano 80.747). La schiera dei disoccupati è cresciuta: nel 2013 è stata pari a 117.650 persone, cioè il 16,30% della popolazione attiva (15-64 anni); ma bisogna aggiungere un ulteriore 43,20%, cioè quelli non ufficialmente nel mercato del lavoro: studenti, donne, precari e i NEET. Nello stesso periodo ben 37.693 contratti di lavoro a tempo indeterminato sono cessati, a fronte dei 37.732 avviati; il saldo è invece positivo per i contratti di lavoro occasionale e a tempo determinato, ma l’11% dei nuovi contratti ha una durata inferiore ai sette giorni. Il mercato del lavoro è schiacciato fra chi dovrebbe creare il lavoro (le imprese, comprese quelle sociali) e chi il lavoro lo dovrebbe avere (i dipendenti). I due ambiti non sono separati, come magari si è indotti erroneamente a pensare. Pertanto, dovremmo guardare con più rispetto a quelle organizzazioni che il lavoro riescono a preservarlo.

E’ triste ammetterlo, ma molte aziende – strette nella morsa dei debiti bancari, tributari e verso fornitori – a malapena assolvono in questo momento solo ad una funzione di ammortizzatore sociale. Dall’altro lato, chi ha un lavoro a Catania oggi dovrebbe difenderlo, anche a costo di qualche sacrificio personale e la rinuncia ad alcune prerogative non più esercitabili in tempi di magra. Non è facile, ma una etica diversa del lavoro nella crisi è più che mai indispensabile, anche per dare un esempio positivo ai nostri giovani.


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