Il tribunale di Catania ha sollevato la questione di legittimità costituzionale sulla parte della legge 40 che vieta la fecondazione eterologa, quella con seme o ovuli che arrivano da donatori esteri. Un sentenza che ricalca in parte quando già stabilito con sentenza del tribunale di Firenze due settimane fa. A spiegarlo è stata l’avvocato Marilisa D’Amico, docente di Diritto costituzionale all’università di Milano, del collegio di difesa della coppia che ha fatto ricorso.
“Non si può discriminare una coppia in ragione del grado di sterilità”: una coppia che non ha ovuli o seme in base alla legge italiana, spiega l’avvocato Marilisa D’Amico che ha seguito il ricorso assieme agli avvocati Costantini, Clara e Papandrea, non può infatti fare uso delle tecniche di fecondazione assistita perché è vietato l’utilizzo di materiale genetico (appunto ovuli o seme) esterni alla coppia. E’ sulla base anche di questa considerazione che è stato presentato il ricorso urgente che ha portato al rinvio della legge 40 all’esame della Corte Costituzionale, per la seconda volta in pochi giorni e sempre sul tema della fecondazione eterologa, caposaldo della legge italiana. “Il tribunale di Catania ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del divieto assoluto di fecondazione eterologa – ha aggiunto il legale – rispetto al principio di eguaglianza, diritto alla saluta e conformità delle norme italiane a quelle europee”. Il ricorso era stato impostato non solo rispetto alla sentenza della Corte Europea che aveva condannato la legge austriaca, simile a quella italiana, ma soprattutto riguardo ai principi costituzionali italiani.