Leoluca Orlando che non perde mai | L'accusa al Pd: "Cambi rotta" - Live Sicilia

Leoluca Orlando che non perde mai | L’accusa al Pd: “Cambi rotta”

Le parole del sindaco che tenta la scalata al Pd, mentre la stella di Renzi è calante.

Chissà se quel comunicato di Leoluca Orlando era pronto da qualche settimana, magari come un necrologio politico, nascosto in un cassetto, tanto per non farsi trovare impreparati dopo avere fiutato vento di tempesta.

Comunque, piomba sulla scena in tempo utile: “Ogni elezione ha una storia a sé stante nella quale gli elettori valutano e decidono sui candidati e i programmi per quella elezione e per quella comunità”. Segue una dotta e competente disquisizione sui risultati elettorali. Prima del finale: “Detto questo, è evidente che il Pd, cui ho aderito da alcune settimane, deve fare una attenta analisi ed una valutazione critica dei motivi di questa sconfitta e dell’evidente disaffezione degli elettori. E’ chiaramente necessario un significativo cambio di rotta politica e di ricostruzione del contatto con i cittadini. Un percorso al quale, da aderente al Pd, intendo dare il mio contributo”.

Ecco la dinamica di precisione dell’Orlandismo che parte, immancabilmente, da un assioma: la catastrofe è sempre colpa degli altri e poi si lancia alla conquista delle macerie. ‘Io non sono il problema, casomai, la soluzione’. Un copione che si ripete ogni volta che Luca si cimenta fuori dalla caotica Palermo, non impegnato in prima persona. E colleziona sconfitte.

Accadde, anni fa, quando l’allora giovane sindaco perenne venne travolto dall’ondata berlusconiana mentre prestava la sua baldanza alla ‘gioiosa macchina da guerra’ del malcapitato Achille Occhetto.

E’ accaduto alle scorse regionali, quando il prescelto dal Professore, per contrastare gli aborriti populismi e il vento di centrodestra – il mite rettore Fabrizio Micari – rimase inchiodato a una percentuale non competitiva. Accade adesso con un epilogo che mette a rischio il seggio del ‘fedelissimo’, Fabio Giambrone, ma che rappresenta comunque una lezione, un manuale di longevità politico-cronologica: Orlando diventa renziano, proprio mentre Renzi, suo malgrado, nonostante una perniciosa resistenza, scompare e il renzismo affonda. E si candida a occupare un vuoto, allontanando da sé l’amaro calice di una brusca fermata.

Per un Renzi che si eclissa, dunque, c’è un Orlando che viene e che si propone come faro, come guida, come colui che bacchetta gli inesperti e i reprobi.

Proprio lui, l’uomo dell’adesione fervente ai democratici, della foto con Misuraca e Faraone, dei proclami entusiastici, appare impegnato nell’arte di sfilarsi per comandare meglio, col vecchio pallino di chi vuole indossare panni più grandi, perché si sente ristretto nella dimensione di sindaco e politico, tutto sommato, esclusivamente palermitano.

Forse è una vittoria di tipo diverso, una diversamente vittoria, quella dell’orlandismo sempiterno che vuole cadere in piedi e continuare a menare le danze. O forse è pur sempre una tremenda sconfitta, chiamata con un altro nome, piaccia o non piaccia.


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