Il giudice Leonardo Guarnotta, già membro del pool antimafia, ha scritto un lungo e commosso post su Facebook, in occasione della strage di via D’Amelio. Lo riproponiamo.
19 luglio 1992
Ricordo perfettamente dove ero domenica 19 luglio 1992 ma anche dove non ero il giorno prima, sabato 18, e cioè nell’ufficio del nostro bunkerino, dove Paolo Borsellino era venuto a trovarmi ma non ci incontrammo perché ero al mare con la mia famiglia.
Perché sei venuto a trovarmi, Paolo? Era solo una visita di cortesia oppure volevi mettermi al corrente di qualcosa di importante? Non poteva essere un semplice saluto senza particolare importanza perché tu ritenesti di informare tua moglie, la cara e dolce Agnese, lei me lo confermò in seguito, che eri passato a trovarmi e che saresti tornato il lunedì successivo. Probabilmente c’era dell’altro, qualcosa che ritenevi io dovessi conoscere nel caso ti fosse successo quello che paventavi ma che non aveva fermato la tua disperata corsa contro il tempo, in quei terribili giorni della tua ultima estate, per scoprire i nomi degli esecutori materiali ma anche dei mandanti della strage di Capaci. Con la consapevolezza che bisognava fare in fretta, sempre più in fretta, perché eri certo che il tempo stava per scadere anche per te.
Il mancato incontro con Paolo, il giorno prima della strage, è uno dei più grandi rimpianti della mia vita…
Il pomeriggio del 19 luglio 1992 ero con la famiglia in una località balneare vicino Palermo e stavo guardando la tv. Improvvisamente il programma venne interrotto per una edizione straordinaria del Tg1. Fu così che appresi la sconvolgente notizia dell’attentato dinamitardo che aveva ucciso Paolo Borsellino e gli agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli, mentre un altro agente, Antonino Vullo, era sopravvissuto, anche se in gravi condizioni.
Allo sgomento iniziale seguirono un moto irrefrenabile di rabbia, di disperazione ed un lancinante dolore fisico.
Tornai a Palermo guidando, tra mille pensieri, verso via D’Amelio. Mi trovai in mezzo ad uno scenario apocalittico, un ammasso di autovetture saltate in aria, insieme alla Fiat 126 rubata e carica di tritolo, come si apprenderà nel corso delle indagini, lamiere contorte, balconi e finestre dell’edificio, in cui abitavano la madre e la sorella di Paolo, lesionati o divelti dalla forte esplosione sino al quinto piano. In giro resti umani, persino tra i rami di un albero.
Confesso di non avere avuto il coraggio di vedere, per l’ultima volta, Paolo, il cui corpo era stato devastato dalla esplosione, perché ho preferito ricordarlo come l’avevo conosciuto e avevo imparato a volergli bene.
Anche Paolo Borsellino, dopo Giovanni Falcone, se ne era andato, era caduto in guerra, quella guerra a Cosa nostra mai ufficialmente dichiarata dallo Stato italiano ma combattuta ogni giorno a Palermo. Sino alla fine.
Con quale forza d’animo rassegnarsi alla perdita di un collega con il quale hai vissuto e condiviso, intensamente, momenti di esaltazione e di sconforto, occasioni di svago e di spensieratezza ma soprattutto la consapevolezza di avere, insieme, fermamente voluto liberare questa nostra terra, la Sicilia, così bella ma così sfortunata, dalla violenza e dalla tracotanza delle mafia.
In una Palermo smarrita, sgomenta, provata emotivamente da quella strage, seguita 57 giorni a quella di Capaci, che aveva indotto Antonino Caponnetto alla disperata, amara considerazione “È finito tutto”, la parte sana della società civile comprese che era arrivato il momento di reagire, di dire un no definitivo alla violenza mafiosa, di riscattarsi da una secolare inerzia che aveva consentito a Cosa nostra di muoversi come anti-stato nello Stato.
Sono trascorsi 31 anni da quel 19 luglio 1992 in cui la ferocia mafiosa ti ha portato via da noi ma tu, caro Paolo, anche se ormai appartieni alla storia del nostro paese, sarai sempre presente tra tutti quelli che ti hanno voluto bene, sarai sempre vivo nel mio cuore.
Riposa in pace.
Leonardo Guarnotta