CATANIA – La mente criminale è sempre rimasta Sebastiano Mazzei. Nuccio U Carcagnusu nonostante la latitanza non ha mai perso il suo “imprinting” di capo e organizzatore della cosca creata dal padre (fatto uomo d’onore dai Corleonesi) Santo Mazzei. La necessità di nascondersi, per evitare la cattura, però poneva l’esigenza di avere delle persone di fiducia che fossero direttamente sul campo per controllare gli “affari illeciti”, gestire il gruppo criminale e non far perdere il potere di controllo nel “traforo”, storica roccaforte a San Cristoforo dei Carcagnusi. L’operazione Target (scattata ieri mattina) fotografa un momento convulso all’interno del clan: la latitanza del reggente e poi la sua cattura. In quei mesi di fibrillazione i due bracci operativi posti al vertice della cosca sono Carmelo Occhione, detto “Melo”, e Maurizio Motta. Un “ruolo direttivo”, come è contestato nell’ordinanza, in cui i due si sarebbero alternati anche in conseguenza di alcuni periodi di “detenzione domiciliare” a cui (in tempi diversi) sono stati sottoposti.
“Melo” ha un ruolo preciso. Già dall’inchiesta ‘Buona Famiglia’ era chiaramente emerso il suo peso criminale nell’organigramma della cosca Mazzei, tanto da farlo inserire come “interfaccia” con le altre famiglie mafiose. Non finisce qui, perché Occhione è l’aguzzino che con le sue minacce (“ti sciolgo nell’acido) ha fatto tremare di paura una vittima in lacrime al telefono. Melo Occhione avrebbe gestito la nuova frontiera dei metodi estorsivi: il recupero crediti. Un modus già emerso nell’operazione Enigma, che ha portato alla sbarra anche diversi imprenditori accusati di essersi rivolti al clan per riottenere il saldo di un debito.
Nello stesso gradino di vertice gli investigatori pongono Maurizio Motta: anche lui “occhio” attento degli affari del clan Mazzei. Avere un ruolo direttivo all’interno della cosca Carcagnusi non è una novità nella famiglia Motta, il fratello Giovanbattista è stato freddato per volere del “cane sciolto” di Cosa Nostra Angelo Santapaola. Il cugino di Benedetto poi è stato ucciso (per volere degli stessi vertici dei Santapaola) insieme al suo guardaspalle Nicola Sedici: i due cadaveri furono bruciati e ritrovati nelle campagne calatine.
Le intercettazioni sono il filo rosso che permette agli investigatori di mettere insieme i tasselli della gerarchia organizzativa, ma anche per risolvere clamorose azioni criminali messe a segno nella provincia di Siracusa che servivano a portare “liquidità” nelle casse della consorteria mafiosa. Parallelamente gli investigatori, sotto il coordinamento della Dda, avevano attivato una serie di attività di intelligence e di pedinamento che permettono di localizzare il nascondiglio di Sebastiano Mazzei. Gli agenti seguono una macchina che li porterà dritti dritti al covo del latitante. E’ il 10 aprile 2015.
Alla corte di Nuccio Mazzei arrivano nuove leve. Carmelo Giusti è tra questi: Melo Bafacchia sarebbe riuscito a conquistare la fiducia indiscussa del capo e questo “rapporto” gli avrebbe permesso di avere un posto di primo piano nello scacchiere della cosca. Gli inquirenti, infatti, a livello gerarchico lo inseriscono un gradino sotto Occhione e Motta, ma sicuramente al di sopra degli affiliati. La base (sempre organica) è composta da Giuseppe Cardì, Giuseppe Barbagallo, Carmelo Grasso, Rosario Seminara, Giuseppe D’Agostino, Salvatore Guglielmo. A disposizione del clan, ma non affiliati, poi si inseriscono Domenico Coglitore, Vito Caputo, Francesco Spampinato, Alfio Virgillito e Cesare Urzì.