CATANIA – Raffaele Lombardo dovrà ancora aspettare. Oggi non ci sarà alcuna sentenza. La Corte d’Appello avendo un carico d’udienza eccessivo ha chiesto alle parti di rinviare al prossimo 7 gennaio. L’udienza di fatto è saltata. E quindi sono slittate le repliche del professore Vincenzo Maiello, difensore dell’ex governatore siciliano accusato di concorso esterno all’associazione mafiosa assieme all’avvocato Maria Licata.
La discussione della difesa dunque sarà completata dopo le vacanze di Ntale. E solo a quel punto la Corte d’Appello, presieduta da Rosa Anna Castagnola, si ritirerà in camera di consiglio per la sentenze. Si attende il quarto verdetto di un processo che ormai va avanti da oltre un decennio. Questo procedimento infatti è il frutto dell’annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione della sentenza d’appello che ha assolto Lombardo dall’accusa di concorso esterno e condannato a due anni (pena sospesa) per corruzione elettorale aggravata dal metodo mafioso. In primo grado invece la gup lo ha condannato a sei anni e mezzo.
Un processo, l’appello bis che l’accusa rappresentata dalle pg Sabrina Gambino e Agata Santonocito, che ormai va avanti da due anni. Basti pensare che la requisitoria dell’accusa è cominciata più di un anno fa, così come quella della difesa prima dell’estate. Un ‘apparato’ accusatorio che abbraccia un arco temporale molto ampio – dal 1999 al 2009 – e che sarebbe fondato da un patto che Raffaele Lombardo avrebbe sancito con i vertici di Cosa nostra catanese. Un processo che prende le mosse dalle ultime indagini della maxi inchiesta del Ros, Iblis. Ad un certo punto chi ascolta le intercettazioni ‘sente un certo malumore’ tra le file del clan Santapaola-Ercolano per alcune promesse che non sarebbero state ‘mantenute’. Protagonisti di queste lamentele è Enzo Aiello, il braccio finanziario-imprenditoriale della mafia catanese. Ma è solo l’embrione, i faldoni che finiscono nel processo sono decine. Tra intercettazioni, documenti, atti, sentenze, verbali di collaboratori di giustizia. Un materiale probatorio su cui difesa e accusa si sono confrontate. Ma che è stato analizzato in una lunga ‘autodifesa’ dalla stesso imputato. Che anche nell’ultima udienza, dello scorso 16 novembre, ha voluto rilasciare dichiarazioni spontanee alla Corte d’Appello.
La prima grande differenziazione tra accusa e difesa è il modo di leggere il processo. Per la procura generale c’è un mosaico di tasselli che dimostrerebbero come Raffaele Lombardo abbia ‘concorso’ attraverso un patto politico-mafioso ad accrescere il prestigio e dunque il potere della consorteria mafiosa di Catania. E quindi la famiglia Santapaola-Ercolano. Per la difesa invece ogni prova va messa in una collocazione spazio-temporale. E seguendo una narrazione cronologica “dei fatti” non vi sarebbe alcuna prova del ‘patto’ tra il politico e Cosa nostra.
Nell’udienza dedicata alle repliche le Pg Gambino e Santonocito, alternandosi sui vari capitoli, hanno risposto alle argomentazioni della difesa. E prima di tutto hanno chiarito che non c’è alcun “innamoramento” di una tesi accusatoria. Ogni capitolo del ‘mosaico’ – appalti, relazioni politiche, incontri con esponenti mafiosi, pestaggio del fratello Angelo (anche lui processato ma in ordinario, ndr) – porterebbero a determinare la concretezza di un patto politico – mafioso. Che però non può essere esclusivo, perché Cosa nostra catanese “è diversa per conformazione organica e strutturata rispetto a quella palermitana”, come spiega Agata Santonocito. Il nome di vertice attorno a cui ruotano le vicende è il boss Ciccio La Rocca, venuto a mancare da qualche mese. Il numero 1 della famiglia di Caltagirone è in contatto con tutti i protagonisti “di questo processo”. Per la Gambino non può essere una ‘semplice’ coincidenza. E citando le parole di Gaetano D’Aquino “dopo l’elezioni (regionali 2008, ndr)” Lombardo “sparì”, la pg dice alla Corte d’Appello “sparisce solo chi prima era comparso”. Per l’accusa ci sarebbe stato il “perdurante appoggio di Cosa nostra al nostro imputato” e la prova sarebbe l’appoggio nel tempo che poi ad un certo punto sarebbe mancato. E questo avrebbe portato alle lamentele di Enzo Aiello, da cui prende le mosse tutto. Uno dei ‘punti focali’ citati poi sono i 700 mila euro che l’imprenditore, ormai scomparso, Vincenzo Basilotta avrebbe dato a Raffaele Lombardo.
L’avvocato Maria Licata ribadisce la narrazione cronologica dei fatti oggetto del processo per portano, senza alcuno sforzo, alla prova dell’assoluzione. E dice: “I giudici giudicano i fatti, prima si accerta un fatto e poi si accerta se ha una tenuta logica”. Per la difesa respinge la chiave di lettura per “aree tematiche” e ritiene questo processo pieno di “voci che girano” e non di fatti che dimostrino “oltre ogni ragionevole dubbio”. La penalista evidenza come davanti a centinaia di intercettazioni siano citati altri politici ma mai l’odierno indagato. Per la pg questo è frutto del fatto che non tutto (e tutti) è stato messo sotto controllo e che comunque si era molto cauti e che certi personaggio (ad esempio Raffaele Bevilacqua di Barrafranca) avesse un doppio schermo di comunicazione. Prima di rinviare all’udienza di oggi, anche Lombardo ha preso la parola per alcuni minuti, affermando che “io ho chiesto il consenso alla gente con incessante impegno”. E ha definito “menzogne” le esternazioni dei collaboratori.
L’accusa ha chiesto la condanna a 7 anni e 4 mesi, invece la difesa ha chiesto una sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste. Oggi potrebbe essere il giorno del verdetto. “Speriamo”, ha commentato una delle protagoniste stamattina.