Dipende, da che punto guardi il Pd: tutto dipende. Storpio con una semicitazione gli Jarabe de Palo perché, credo, bene si presta a questa riflessione, che non vuole essere replica al commento del mio amico Pippo Russo o a questo o quel dirigente nazionale del Pd, ma un semplice tentativo — spero non molesto e maldestro — di rimettere al centro del villaggio non tanto il Pd, quanto la Sicilia. O meglio, il ruolo e le responsabilità del Pd nei confronti della Sicilia.
Sì, il Partito Democratico siciliano, soprattutto nei dibattiti sui mezzi di informazione, appare un campo di battaglia interna, senza la nobiltà del Colosseo, per giunta. Sarebbe inutile negarlo. E anche vigliacco.
Ma è davvero questo il punto focale? Cioè davvero pensiamo che i limiti che Russo vede e che ostacolano tanto il Pd quanto il campo delle opposizioni si originano dalla litigiosità di quello che, comunque, rimane di gran lunga il partito più strutturato e radicato nel territorio siciliano?
Davvero pensiamo che per affrontare la questione siciliana il punto sia il nome e il cognome del segretario del Pd regionale? Insomma è davvero questo il cuore del problema? E lo vogliamo affrontare discutendo in maniera ipnotica di noi stessi?
Onestamente, non credo. Non penso che il Pd possa riacquisire ruolo e centralità limitandosi — cosa che comunque sarebbe di grande aiuto — a risolvere i propri dissidi interni. Magari bastasse. Vorrebbe dire che i limiti del Pd e delle opposizioni sono, francamente, risibili e superabili. Ma cosi non è.
Perché il punto vero non è l’ombellico del Pd, ma quello che c’è fuori dalle schermaglie. Fuori dalle chat velenose, dal racconto di uno scontro di cui si fatica a capire il cuore politico, dal richiamo ad età dell’oro Dem dimenticandosi che quel consenso era drogato dai Sammartino, dai Genovese, dai Ruggirello.
E anche se qualcuno, magari, guarda con nostalgia quella stagione non penso che chi, tra il nostro popolo attuale e potenziale, condivida il cupio dissolvi di una stagione che ha segnato in negativo la percezione stessa del Pd in questa regione. Un cupio dissolvi da cui stiamo con fatica provando ad emergergere. Ed è qui il punto vero del ragionamento che, purtroppo, mi pare mancare.
Non un rigo delle varie interviste e dei commenti viene dedicato alla Sicilia. Agli uomini e alle donne che qui vivono. Basta cambiare il segretario regionale del Pd per fermare l’emigrazione che sta spopolando ampie zone delle nostre aree interne? Basta una decisione di questa o quella commissione per salvare gli enti locali dell’isola dal dissesto o per recuperare quel gap di due anni di speranza di vita in meno tra chi nasce e vive qui e chi nasce nel resto d’Italia?
Un partito che sa discutere solo di se stesso, insomma, non serve a nessuno se non a chi è ripiegato sulla propria collocazione. E finisce per allontanare l’obiettivo che deve essere comune. Quello di discutere di cosa vogliamo fare per la nostra isola non per noi stessi. E finisce per stancare chi, anche grazie al lavoro lungo e non facile della nostra segretaria nazionale, al Pd sta tornando a guardare.
E’ un percorso fragile che ha bisogno di idee e di essere valorizzato. Questo partito, con tutti e tutte i suoi dirigenti è stato protagonista della mobilitazione per la freedom flottilla, della battaglia sulla sanità pubblica, anche con la presenza della Schlein, la sola leader nazionale che a Trapani c’è stata. E ancora sulla scuola, su un’idea di sicurezza che non scimmiotta le soluzioni tanto facili quanto fallaci della destra, che prova a disvelare l’inganno dei numeri sul pil, strombazzati da Schifani, che vedono una ricchezza che cresce per pochi e la povertà relativa ed assoluta crescere per il tutto il resto dei siciliani.
E’ stato, proprio pochi giorni fa, protagonista di una fase di ascolto che lo ha visto confrontarsi con oltre 80 associazioni del terzo settore sui problemi della Sicilia e sulle soluzioni possibili. Cosi come è stato protagonista con una rinnovata postura in Assemblea Regionale. Di questo sui giornali c’è pochissima traccia. E ancor meno nelle dichiarazioni di autorevoli dirigenti del Pd siciliano e nazionale.
E’ questo il punto mancante, la vita vera di chi non conosce e manco si preoccupa dei nomi del gruppo dirigente Dem in Sicilia ma vorrebbe non essere lasciato solo. Vorrebbe tornare a sperare in un futuro diverso per questa terra e per la vita sua e dei suoi figli.
È da qui che si deve ricominciare. Ed è su questo tema che il Pd deve ricostruirsi: non dai tatticismi, non dalle correnti, non dai congressi infiniti, ma dalla vita reale. Per questo il Pd siciliano ha bisogno di un’invasione di uomini e donne, di cittadini che scelgono di partecipare, di contaminare un partito che oggi vuole davvero aprirsi.
È la rigenerazione che serve, che può ricostruire speranza e senso di utilità. Significa ricostruire fiducia, rimettere in moto pensiero e passione. Significa tornare a parlare di Sicilia — di lavoro, di giovani, di sanità, di diritti, di ambiente — senza paura di farlo in modo nuovo. Spostando sempre più l’attenzione da se stesso a quanto si muove in questa società.
Il Pd non può più essere solo la noiosa cronaca delle proprie divisioni: può tornare a essere un laboratorio di ricomposizione e speranza. Ma deve volerlo davvero. E deve capirlo in fretta, perché fuori dai palazzi la Sicilia non aspetta più. Ed è su questo terreno che dobbiamo tutti e tutte impegnarci, magari chiedendo più attenzione anche alla stampa, che spesso è attratta di più dalle nostre liti che dalle nostre azioni. Perché sulle azioni e sulle idee per la Sicilia saremo giudicati e pesati. Ed è di quelle che dobbiamo tutti e tutte tornare a discutere.
L’autore è componente della direzione nazionale e della segreteria regionale del Partito Democratico

