PALERMO – Nella sezione maestrale del carcere Pagliarelli di Palermo arrivò “la palummedda”. I nigeriani non andavano toccati “perché ci hanno aiutato”. Il diktat proveniva dai mafiosi di Ballarò, famiglia che fa parte del mandamento di Porta Nuova, e l’aiuto ricevuto riguardava i traffici di droga.
Le testimonianze raccolte negli ultimi mesi dal pubblico ministero Gaspare Spedale e dal sostituto procuratore generale Carlo Marzella affondano nel cuore dei rapporti fra i boss di Cosa Nostra e quelli che, secondo l’accusa, farebbero parte della mafia nigeriana. I verbali sono entrati nel fascicolo d’appello del processo che in primo grado ha visto cadere per i nigeriani le ipotesi di associazione a delinquere aggravate dal metodo mafioso ed estorsione. La Procura, però, è convinta della sua ricostruzione che in altri processi ha già retto.
Un’arma in più per l’accusa potrebbe arrivare dai racconti di tre collaboratori di giustizia: Emanuele Cecala, Francesco Lombardo e Alfredo Geraci. Cecala è di Caccamo, Lombardo di Altavilla Milicia, mentre Geraci faceva parte del mandamento di Porta Nuova.
Tutti e tre raccontano un unico episodio. I nigeriani che farebbero parte dell’organizzazione Black Axe, dopo l’arresto nel 2018 giunsero nel carcere Pagliarelli. Li piazzarono nel reparto di “Alta sorveglianza”. I mafiosi palermitani non gradivano la presenza dei “nivuri”. Li associavano a reati fastidiosi come la tratta degli esseri umani. Per mesi covò il malcontento e una mattina esplose.
Scoppiò una rissa, “Antonino Serenella gli ha dato due schiaffi a questo ragazzo Aifè, il coimputato di Abubakar e Abubakar giocava pure a pallone”. Un fallo di gioco durante una partitella fu solo il pretesto per mettere le cose in chiaro. Comandavano i palermitani. Rischiò di scatenarsi una vendetta dentro il carcere. Poi sarebbe arrivata “la palummedda”. Paolo Lo Iacono, mafioso di Palermo Centro, fece sapere che “si dovevano tutelare i nigeriani”. Perché? “C’era un interessamento particolare perché li usavano nel traffico di droga”.
I nigeriani si sono accollati il lavoro sporco. I palermitani spacciano la cocaina, venduta a consumatori di fascia più alta. Ai tossici di eroina, che occupano il gradino più basso e maleodorante della lista dei clienti, ci pensano i nigeriani che sanno essere volenti.
Serenella, condannato per essere stato uomo del capomafia Alessandro D’Ambrogio, fu rimproverato. E avrebbe fatto marcia indietro, convinto da Lo Iacono, considerato il “punto di congiunzione tra la mafia palermitana e la delinquenza nigeriana”.
La notizia era arrivata anche a Cecala e Lombardo: Gino Di Salvo, boss di Bagheria, disse “che gli ordini da Palermo erano di rispettare queste persone e, se c’era di bisogno, metterci anche a disposizione se non potevano fare la spesa… venivano e cercavano u zuccaru, a pasta, un pelato, qualsiasi cosa”.
Alle nuove acquisizioni rispondono i legali delle difese: “La Corte di assise sulla scorta di affidabile ed ampio materiale probatorio acquisito durante il dibattimento – spiega l’avvocato Cinzia Pecoraro – è giunta ad un giudizio assolutoria proprio perché il fatto non sussiste. Tale pronuncia è già stata avvalorata anche dal tribunale di Palermo sezione misure di prevenzione che ha rigettato la richiesta di applicazione della misura di prevenzione perché non solo l’appartenenza a Black Axe non è stata provata ma difetta anche la prova che tale cult possa avere i requisiti di un un’associazione mafiosa”.