Mafia, blitz "Terra Bruciata": i NOMI degli arrestati

Mafia, blitz “Terra Bruciata”: i NOMI degli arrestati e le accuse

Ad altre 13 persone è stato notificato l'avviso di conclusione indagini.
L'INCHIESTA
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CATANIA. E’ in corso di svolgimento la conferenza stampa legata all’operazione condotta dal Comando provinciale del carabinieri sulla scorta dell’inchiesta della Dda che, questa mattina, ha portato a infliggere un duro colpo al clan dei Sangani, costola della famiglia dei Laudani.

Gli arrestati

Salvatore Sangani detto Turi, classe 1964;
Francesco Sangani detto Paolo, classe 1986;
Samuele Portale, classe 1988;
Pietro Pagano detto Piero, classe 1981;
Vincenzo Lo Giudice detto “mastro”, classe 1965;
Giovanni Farina, classe 1985;
Salvatore Crastì Saddeo detto “u niuru”, classe 1976;
Michael Sangani, classe 1995;
Marco Portale, classe 1982;
Francesco Gullotto detto Ciccio, classe 1977;
Giuseppe Costanzo Zammataro detto “Pippo u pazzo”, classe 1963;
Giuseppe Sciavarello, classe 1980;
Alfredo Magione detto “u cumpari”, classe 1968;
Daniele Camarda detto “parillitta”, classe 1970;
Salvatore Bonfiglio detto Turi, classe 1990;
Salvatore Russo, classe 1996;
Christian Cantali detto “San Martino”, classe 1997;
Francesco Rapisarda detto “Ciccio ninfa”, classe 1975;
Antonino Lupica Tonno detto Nino, classe 2001.

Ad altre 13 persone è stato notificato l’avviso di conclusione indagini.

La ricostruzione degli inquirenti

“L’indagine, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia e condotta dai militari della Compagnia Carabinieri di Randazzo tra il luglio 2018 e il gennaio 2021, attraverso complesse attività  tecniche e dinamiche, ulteriormente riscontrate dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Carmelo Porto (che ha confermato la presenza storica del gruppo sul territorio), ha consentito di monitorare le evoluzioni delle dinamiche associative del clan “Laudani”,anche noti come “mussi i ficurinia”,individuandone, allo stato degli atti, l’attuale responsabile per l’area di Randazzo in Sangani Salvatore inteso “Turi”, referente di zona per Paolo Di Mauro, deceduto nel corso dell’indagine e figura apicale, finché in vita, dei “Laudani” per l’intera fascia jonico-etnea.

Nell’attuale fase del procedimento, in cui non è stato ancora instaurato il contraddittorio tra le parti, le attività tecniche hanno disvelato come Turi, a partire dal febbraio 2008, appena riacquistata la libertà, sostituendosi al fratello Oliviero Sangani (detenuto per omicidio plurimo) avrebbe impresso nuovo slancio alle attività criminali, incrementando, in particolare, sia le estorsioni ai danni di imprenditori locali, sia il traffico di sostanze stupefacenti.

Le investigazioni hanno altresì fatto emergere come Salvatore Sangani, nella quotidiana gestione delle attività illecite del sodalizio, abbia costantemente adottato particolari cautele volte ad evitare che le sue conversazioni potessero essere ascoltate dalle Forze dell’Ordine, come l’utilizzo di una rete telefonica riservata, caratterizzata da utenze intestate ad ignari cittadini extracomunitari, sostituite di frequente. E ancora, il ricorso a “nomi in codice” per indicare le sedi, di volta in volta diverse, deputate alla trattazione delle varie questioni di interesse del clan, che doveva avvenire esclusivamente in presenza. In tali occasioni, Sangani avrebbe sempre imposto ai suoi interlocutori di non portare i cellulari al seguito. 

In un quadro così articolato, avrebbero rivestito un ruolo di particolare rilievo sia i figli, Francesco e Michael, sia suo nipote, Samuele Portale. Quest’ultimo, in qualità di “braccio destro” dello zio Turi Sangani, evitando l’esposizione diretta dello stesso nella gestione degli affari illeciti della “famiglia” relativi agli approvigionamenti degli stupefacenti traffico di stupefacenti, avrebbe mantenuto in particolare i contatti con soggetti appartenenti ad altre organizzazioni per l’approvvigionamento delle sostanze. Il pieno coinvolgimento di Samuele Portale all’interno dell’associazione mafiosa, sarebbe inoltre confermato dal fatto che quest’ultimo, unitamente a Pietro Pagano, in diverse occasioni e su incarico di Salvatore Sangani, avrebbe preso parte a delicati incontri con soggetti di altre organizzazioni criminali, come quelli avvenuti con Francesco Rapisarda, detto “Ciccio ninfa”, originario di Giarre (CT).

Le indagini avrebbero, inoltre, hanno fatto emergere, in occasione delle elezioni amministrative del Comune di Randazzo dell’anno 2018, anche le interferenze del gruppo sull’amministrazione comunale ed, in particolare, su tre rappresentanti, attuali e passati, del Comune di Randazzo, ovvero Francesco Sgroi Giovanni Emanuele, all’epoca delle indagini e tuttora Sindaco in carica, Carmelo Tindaro Scalisi, già  Consigliere Comunale e attuale Presidente del Consiglio Comunale e Marco Crimi Stigliolo, Consigliere Comunale nella precedente amministrazione, anch’essa guidata dal Sindaco Sgroi.

L’attività investigativa avrebbe inoltre documentato i “reati fine” strumentali al sostentamento del clan, tra i quali si pongono in evidenza le estorsioni ai danni di imprenditori del catanese, un fiorente traffico di cocaina, hashish e marijuana, gestito direttamente da Samuele Portale e dai fratelli Francesco e Michael Sangani, con il contributo di Pietro Pagano, nonché un ingente traffico illecito di armi, anche da guerra, costituenti un vero e proprio arsenale, custodite da Marco Portale (fratello di Samuele). Degno di nota poi il controllo, capillare e asfissiante, posto in essere dall’organizzazione criminale ai danni di solide attività economiche, anche attraverso l’imposizione di assunzioni di alcuni sodali del clan in quelle ditte.

Altro dato particolarmente significativo ed allarmante è il controllo del territorio esercitato in loco dagli affiliati, i quali, dopo il passaggio delle forze dell’ordine, avrebbero chiesto alle persone del paese i motivi della presenza delle stesse acquisendo dettagliate informazioni al riguardo. 

Per quanto riguarda le attività estorsive dei “Laudani” (condotte in particolare da Salvatore e Francesco Sangani e Samuele Portale), le indagini avrebbero documentato estorsioni che sarebbero state consumate dal sodalizio criminale anche per fare fronte al mantenimento delle famiglie degli affiliati detenuti. Al riguardo, circa il “modus operandi” delle richieste estorsive, va sottolineato come le stesse sarebbero state eseguite da soggetti insospettabili, apparentemente del tutto estranei all’organizzazione criminale, ma chiaramente percepiti dalle vittime come mandati dal clan. In alcuni casi, la richiesta estorsiva veniva “annunciata” dal sodalizio attraverso il posizionamento di una bottiglia contente liquido infiammabile all’esterno della attività commerciale della vittima, accompagnata da un pizzino con la scritta: “cercati l’amico buono”. Al riguardo, nel corso delle attività, i Carabinieri sono riusciti a rilevare una dinamica estorsiva che persisteva da lungo tempo, intercettando un soggetto insospettabile, subito dopo aver riscosso circa 4.000 da un imprenditore randazzese. Quest’ultimo, in passato, era già stato vittima di pressanti richieste e di una serie di danneggiamenti.

Nel corso delle investigazioni, a riscontro delle attività svolte, i Carabinieri hanno effettuato 15 arresti in flagranza di reato, in una circostanza per “detenzione illegale di numerose armi e munizioni anche da guerra” e nelle altre quattordici occasioni per “detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti”. In particolare, i militari sono riusciti a sequestrare, in relazione agli eventi connessi allo smercio di droga, 3 piantagioni di marijuana (oltre 3500 piante), 15 kg di marijuana, 2 serre per la produzione indoor di piante di canapa, con relativi gruppi di continuità, lampade, fertilizzanti, integratori per piante e riflettori di luce, 1 kg. di hashish, 50 gr. di cocaina. Per quanto concerne invece il materiale d’armamento, sono state recuperate 3 armi corte e 4 armi lunghe, tutte clandestine, oltre a canne, caricatori e componenti di armi, anche queste clandestine, nonché centinaia di munizioni di diverso calibro e persino un 1 metaldetector. Quest’ultimo sarebbe stato impiegato dagli indagati allo scopo di poter rinvenire i loro arsenali occultati in profondità nei terreni anche dopo molto tempo, senza dover segnalare, sulla superficie, il luogo deputato al loro sotterramento.

A testimonianza dell’indice di mafiosità dei soggetti coinvolti, si segnala che uno degli arrestati, Samuele Portale, aveva chiamato i suoi due cani Messina e Denaro, con chiaro riferimento al superlatitante Matteo Messina Denaro.

Ai 21 destinatari della misura della custodia cautelare in carcere, si aggiungono 13 soggetti nei confronti dei quali sarà notificato l’avviso di conclusione delle indagini. 

In esito alle catture verrà attivato il contraddittorio procedimentale, nel corso del quale gli indagati avranno la facoltà di fornire la loro versione dei fatti e indicare eventuali prove a discolpa”.


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