Viaggio nelle carcere del 41 bis: tra regole giuste e vessazioni

Viaggio nelle carceri del 41 bis: tra regole giuste e vessazioni

Strutture di massima sicurezza. Fortezze lontano dalla Sicilia

PALERMO – L’Aquila, il carcere “Le Costarelle” è un enorme blocco di cemento in mezzo al nulla. Qui è rinchiuso al 41 bis dal 16 gennaio scorso Matteo Messina Denaro. Il padrino trapanese è l’ultimo arrivato nella struttura costruita negli anni Ottanta, quando in Italia governava il pentapartito, ed entrata in funzione nel 1993.

TUTTI I NOMI DEI DETENUTI SICILIANI AL 41 BIS

L’Aquila

Regole ferree, gestione rigida. L’ora d’aria si trascorre in spazio di 4 metri per 5, muri alti e una rete metallica a coprire il cielo.

All’inizio degli anni duemila furono gli stessi agenti penitenziari a scioperare per la difficile vita interna. A L’Aquila scontano la pena anche un altro stragista, Filippo Graviano di Brancaccio, Gianni Nicchi, il picciuttedu cresciuto sotto l’ala protettiva del boss Nino Rotolo, Sandro Lo Piccolo, ergastolano della potente famiglia palermitana di San Lorenzo, l’agrigentino Gerlandino Messina e il gelese Crocifisso Rinzivillo.

Opera

Sala colloqui. Il muro di vetro è spesso quanto quelli blindati delle banche. Vedi la persona che sta seduta di fronte, ma non puoi sentirne la voce. Senza il citofono sembrerebbe la scena di un film muto.
Comune di Opera, ad una manciata di chilometri da Milano. Il carcere, costruito negli anni ottanta, con i suoi mille e quattrocento detenuti, è uno dei più grandi d’Europa.

Nella struttura milanese prima c’era Totò Riina, ora ci sono il boss dell’Uditore Nino Rotolo, Ignazio Ribisi di Palma di Montechiaro, il catanese Nitto Santapaola, Vito Vitale di Partinico, il trapanese Vincenzo Virga, i palermitani Calogero Lo Piccolo, ultimo componete della famiglia a finire in carcere, Giuseppe Graviano di Brancaccio e l’anziano Pippo Calò.

A loro è destinata un’area riservata, laddove c’era la sezione femminile. Una sorta di carcere nel carcere. Una palazzina di due piani. Nel penitenziario c’è un’infermeria collegata telematicamente
con l’ospedale San Raffaele di Milano.

Se si sconta anche la pena accessoria dell’isolamento non c’è contatto con altri detenuti. In cella si sta da soli, si può guardare la tv e leggere i giornali (non quelli siciliani), e da soli si passeggia all’ora d’aria in un cortile poco più grande di una cella, con il tetto sbarrato dalle inferriate. Avanti e indietro all’interno
di una gabbia.

Più lungo è, invece, il tragitto che conduce fino alla sala colloqui. È qui che incontrano parenti e avvocati. Per i familiari di chi finisce a Opera c’è il vantaggio della facilità di raggiungere una grande metropoli come Milano.

All’ingresso della struttura c’è una guardiola, Si attende lì, fino a quando non arriva un agente penitenziario del Gom, il gruppo operativo mobile che vigila sui detenuti al 41 bis. Si deve lasciare tutto all’ingresso – chiavi, telefoni, borse, documenti – prima di superare il metal detector. Poi, si percorre un corridoio esterno fino alla palazzina di due piani, che si erge alle spalle dello spaccio.

Il secondo metal detector segna l’arrivo nella sala colloqui. La stanza è senza finestre. Gelida e illuminata da un neon. Ci sono due sgabelli in cemento armato. Un bancone di marmo. E il muro di vetro. La differenza nei colloqui fra i familiari e l’avvocato sta tutta nel piccolo sportello al centro della vetrata.
Se sei il legale del detenuto lo sportello è aperto. Se sei un parente, no. La voce arriva solo attraverso il citofono. Nella stanza si rimane da soli. Le telecamere vigilano. All’occhio elettronico si aggiunge quello dell’agente penitenziario.

Regole rigide

I colloqui degli avvocati possono avere cadenza settimanale. Una o due volte al mese per i familiari. Mai più di un’ora. Il quadro delle limitazioni è ancora lungo: è ammessa una telefonata al mese solo con familiari stretti.

Per poter essere contattati, mogli e figli dei detenuti devono recarsi al carcere della propria città; tutta la corrispondenza del detenuto viene controllata: buste e pacchi in entrata vengono aperti ad eccezione di quelli provenienti dai parlamentari o da altre autorità che hanno competenza in materia di giustizia; le lettere in uscita devono essere consegnate aperte alle autorità carcerarie. Ed ancora: la lista dei prodotti alimentari che il detenuto può chiedere di acquistare è molto ristretta e non c’è la possibilità di cucinare all’interno della cella. Unica deroga, in alcuni casi, è la disponibilità di un fornellino per scaldare i cibi. In cella niente libri con copertina rigida e bottiglie. Si può ricevere dall’esterno solo un pacco al mese per un massimo di dieci chili.


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