Mafia, a Catania la finanza scova il libro mastro: boss e soldi

Mafia, la finanza scova il libro mastro: detenuti, boss e soldi

Intercettazioni che scottano. Ecco i segreti della cassa del clan

CATANIA – Una cassa comune, una sorta di banca del clan di Picanello, che gestiva i proventi del traffico di droga e delle estorsioni, ma anche l’enorme flusso di denaro dei prestiti usurari e il fiume di contanti che sarebbe stato reimpiegato in operazioni immobiliari. Si tratta di cifre di rilievo tanto che i finanzieri, con l’operazione Oleandro, hanno sequestrato beni per 12 milioni di euro.

Il libro mastro

Per decriptare il sistema di gestione dei fondi illeciti, i finanzieri intercettano Giuseppe Gambadoro e il boss Carmelo Salemi, mentre discutono della “cassa comune” e della “carta”, cioè il libro mastro in cui i sodali registravano creditori e debitori, ma anche guadagni e spese. Dal brogliaccio emergono calcoli e strategie, ma anche la gestione finanziaria della vita di tutti i giorni, all’ombra dei guadagni illeciti del gruppo di Picanello. Gambadoro, per esempio, comunica di dover consegnare 15 mila euro al clan per debiti personali, un debito scritto sulla “carta”, che neanche il boss poteva cancellare: “Vedi che qui sei scritto nella carta! Peppe questo ti voglio dire, mi deve morire mio figlio. La prima cosa che mi hanno detto …«vedi che tuo cugino deve dare 15 mila euro» sulla vita dei miei figli… compare”.

Nella casa del boss

Nella casa del boss si parla di entrate e uscite. Anche dei soldi che Salemi deve avere dalla “banca” del clan. Ottomila euro, per esempio, soldi che lui aveva anticipato: “La storia vecchia che avevano…non mi interessa quanto è stato “U Nino, a testa du brighiu, a testa do cazzo” io ho anticipato qualche novemila e tanto…i soldi dell’avvocato che ho messo dall’altra parte”. “Ma tu – chiede il boss – lo sai quanti soldi ci sono nella cassa?“. Non si contano i prelievi in contanti, ma soprattutto, la cassa è il fulcro delle spedizioni degli esattori del gruppo. Come quando Salemi incarica “Turi” di riscuotere denaro “in nome e per conto del clan”, annotano gli investigatori. Soldi da distribuire tra gli affiliati, esattamente 3 mila euro. “Quest’altra settimana – ordina Salemi intercettato – di questi 3 mila euro fai: 250, 250, 250 glieli dai al figlio di sucaminchi … vabbè lo sai che faccio ora? Verso martedì, scrivo un pezzo di bigliettino appena li prendi direttamente, non li portare direttamente, distribuiscili direttamente”.

Un fiume di soldi

Quando Alfio Sgroi parla con la badante della madre, le cimici registrano un fruscio: sta contando soldi in contanti, ben 12 mila euro. Fondi dei quali lui ammette di essere solo un “custode”, perché devono confluire nella “cassa”. La donna gli chiede un prestito di 2 mila euro, ma lui non può concederlo, quei soldi non si possono toccare. La cassa del clan di Picanello serve per stipendiare detenuti e familiari degli affiliati.

I pentiti

Ed è seguendo i soldi che i pentiti Antonio D’Arrigo e Silvio Corra raccontano che Antonino Alecci, dopo alcuni arresti di rilievo, era diventato responsabile del gruppo mafioso, gestendo anche una casa da gioco abusiva in via Galati: una vera e propria bisca clandestina. I soldi finivano nella cassa del clan e Alecci si occupava anche della raccolta delle estorsioni, soprattutto nei periodi di Natale e Pasqua e del traffico di sostanze stupefacenti.

Il sostegno economico agli affiliati

Soldi ai detenuti, agli ex detenuti e a tutti gli affiliati in difficoltà. La cassa del clan serviva da ammortizzatore sociale, come quando un tale “Paolo” viene scarcerato e non ha i soldi per pagare un imbianchino che deve tingere la sua casa. Gambadoro a quel punto contatta Benito Privitera, arrestato nell’operazione Agorà nel 2022 per reperire l’operaio. “Questo ragazzo Paolo – dice Gambadoro – lo stesso da un paio di giorni è uscito ora… siccome si deve sistemare la casa questo ragazzo…inc.le se ci poteva dare una mano…Melo…ci ha detto … usciamo un pittore e ci facciamo fare la casa”. I soldi della cassa comune servivano anche per i viaggi dei familiari dei detenuti: “Allora – dice Salemi – ce ne mando … 1…2 … 3… 4… 5… 5… 6… e 100, 700 euro, gli dici, mi ha detto Melo, per il momento ci date questi e 300 poi ce li diamo …ci leviamo anche questi … però ce li devi dare però siccome ci toccano tutti questi, ora deve partire…”.

Soldi ai detenuti

Soldi anche alla famiglia di Francesco Sutera, detenuto scarcerato nel 2021 dopo le accuse di omicidio volontario, estorsione e associazione mafiosa, ma il boss Salemi viene intercettato mentre si lamenta della loro insistenza: “Non è corretto! – dice Salemi – mi deve morire mia figlia sono qui sotto…stavano cercando soldi dice «quello me li ha dati», ora mi sono venuti qua dice che ci ha staccato assegni a Federico sono venuti per… mi deve morire mia figlia… ma che stanno combinando”.

Non si contano le richieste di fondi, da parte dei familiari degli affiliati, per ristrutturare le proprie abitazioni, per la benzina, l’acquisto di sigarette, col boss che rimprovera la moglie di un fedelissimo: “Ma perché non ci fai levare il vizio delle sigarette?”.

Gli avvocati

Una delle voci di spesa maggiore è quella degli avvocati difensori. Quando le parcelle sono alte, il boss suggerisce di cambiare legale, soprattutto quando servono 500 euro per ciascun appuntamento. Il discorso non cambia con Rudy Veneziano, pregiudicato per rapina ed estorsione, “una persona molto vicina al clan di Picanello, che gestisce una piazza di spaccio”, ha detto il pentito D’Arrigo. Si tratta del genero di Franco Sutera, sua moglie va direttamente nel negozio di fiori del boss per chiedere i soldi. Tanti soldi, vuole ristrutturare la casa. I fondi del clan generavano spesso tensioni, ma il boss Salemi, alla fine, faceva tornare “i conti”. Almeno fino a quando la Guardia di Finanza non lo ha arrestato.




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