Mafia e politica, i pm chiedono pene più dure per l'ex deputato Ruggirello - Live Sicilia

Mafia e politica, i pm chiedono pene più dure per l’ex deputato Ruggirello

Le richieste dell'accusa ai giudici di Palermo nell'appello del processo "Scrigno"

TRAPANI – “Condannate per associazione mafiosa l’ex deputato del Pd Paolo Ruggirello “. Così si sono rivolti i pm della Procura antimafia ai giudici della Corte di Appello di Palermo. Ruggirello è stato condannato per concorso esterno alla fine del cosiddetto “processo Scrigno” celebrato dinanzi al Tribunale di Trapani.

I pm Camilleri, Bettiol e De Leo hanno presentato appello anche per la riforma delle condanne inflitte ad altri due imputati, anche loro noti politici locali, l’ex consigliere provinciale, architetto Vito Mannina e l’ex consigliere comunale di Erice, Alessandro Manuguerra. La sentenza di primo grado risale allo scorso mese di aprile. L’ex deputato Ruggirello è stato condannato a 12 anni mentre i pm avevano chiesto 20 anni, ed oggi insistono nel sostenere come sia stato parte dell’associazione mafiosa sin dentro il cuore di Cosa nostra, quella Campobello di Mazara, il “fortino” dell’allora latitante Matteo Messina Denaro.

La Dda contesta a Paolo Ruggirello la vicinanza “ad ambienti mafiosi” che vedevano in lui “una figura di riferimento a cui porgere istanze e richieste e per il quale, pertanto, appariva conveniente assicurare sostegno elettorale nelle varie competizioni elettorali che lo vedevano candidato”. Provato che “Filippo Coppola, storico mafioso trapanese, riceveva dal fratello Girolamo la richiesta di reperire voti, all’interno del carcere, in favore di Ruggirello per le elezioni amministrative del 2009. Anche il mafioso e massone, imprenditore mazarese Michele Accomando, aveva svolto una capillare attività di reperimento voti in favore di Ruggirello nel territorio di Mazara, e il politico si era dimostrato disponibile a favorire gli affari del gruppo mafioso di appartenenza di Accomando”.

Ed ancora, secondo l’accusa, “ulteriore sostegno elettorale in favore di Ruggirello è stato accertato in occasione delle elezioni amministrative di Campobello di Mazara, sostegno fornito da Giovanni Burracci (ex addetto all’ufficio cifra della Prefettura coinvolto nell’operazione antimafia Campus Belli, deceduto però prima di arrivare al processo), che sarebbe stato legato alla cosca belicina e non ostacolato dal capo mafia Leonardo Bonafede”. Sempre nell’ottica del sostegno ricevuto da ambienti mafiosi “va letto – secondo i pm palermitani – quanto accaduto per le elezioni regionali del 2012, e l’appoggio fornito da Calogero “Lillo” Giambalvo, consigliere comunale a Castelvetrano e nipote di Vincenzo La Cascia, uomo d’onore della famiglia di Campobello e fidatissimo dell’ex latitante Matteo Messina Denaro”. Giambalvo venne intercettato a raccontare di suoi incontri con i latitanti Messina Denaro pare inventati di sana pianta ma quelle sue frasi lo hanno dipinto come persona a disposizione delle cosche. A Trapani tra il 2017 e il 2018 c’è stato un “patto sinallagmatico” tra mafia e politica, da una parte le prestazioni dall’altra i corrispettivi.

Al centro della scena i pm hanno posto l’allora parlamentare regionale Paolo Ruggirello. Intercettato a parlare con mafiosi di spicco, come il pacecoto, suo conterraneo Carmelo Salerno, e ancora con l’allora boss campobellese, di recente deceduto, Filippo “Fifì” Sammartano, soggetto quest’ultimo a meno di un passo dal boss latitante. Altri legami hanno incastrato Ruggirello, quella con i fratelli Virga, Pietro e Franco, e ancora con Franco Orlando, il gotha mafioso della città di Trapani. E poi i contatti con il vitese Salvatore Crimi, figlio di un vecchio potente mafioso trapanese, Leonardo Crimi. Cognomi pesanti, difficile poter sostenere che non sapeva che la mafia non era lontano da lui.

In un crescendo di intrecci e collusioni, si è arrivati con la sentenza odierna a quello che la Cassazione ha definito “il paradosso della democrazia”, ossia “il metodo di scelta dei rappresentanti della cosa pubblica che diventa lo strumento di rafforzamento della sopraffazione e della tirannia dei poteri mafiosi”. La mafia che mette in vendita i suoi voti, ma non sono stati i mafiosi a offrirsi ai politici, ma sono stati i politici ad andare a cercarli. Uno scenario che non appartiene al secolo scorso, ma è del secolo corrente, al limite dell’attualità. In una città dove per anni si è sostenuto che la mafia non esiste e che nei tempi correnti si sostiene che sia stata sconfitta, la fotografia che è venuta fuori dal processo Scrigno è tutt’altra: la mafia esiste, mantiene il controllo del territorio, i mafiosi non sono persone sconosciute e senza volto, ma alcuni politici hanno dimostrato di conoscere nomi e cognomi, e luoghi dove andarli a trovare, come ha bene raccontato il rapporto informativo dei Carabinieri del Reparto Operativo Provinciale di Trapani.

Relazioni pesanti, con i capi della mafia trapanese, i Virga ed Orlando, la loro longa manus, il pacecoto Carmelo Salerno, fino ad arrivare a Marsala e Campobello di Mazara, sin dentro i luoghi della latitanza di Matteo Messina Denaro. Non solo politica e mafia, ma anche politica, mafia e massoneria, corretta nel processo Scrigno utilizzare il binomio massomafia, come espressione del potere più spregiudicato esistente in questo territorio.

La Dda, ha fatto appello anche contro le sentenze di condanna, pronunciate dal tribunale di Trapani, contro Vito Mannina, ex consigliere provinciale ed Alessandro Manuguerra, già consigliere comunale di Erice. Mannina e Manuguerra sono stati condannati rispettivamente a un anno e otto mesi e ad un anno per corruzione elettorale. La Dda, per loro chiede la condanna per voto di scambio politico mafioso, per via dei contatti con i famigerati mafiosi trapanesi Virga e Orlando. L’indagine Scrigno ha portato a 21 condanne, pronunciate col rito ordinario e con il rito abbreviato, quest’ultime sono già arrivate al vaglio della Cassazione. 


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