Immobili, terreni e un vivaio| Il tesoro sequestrato al boss Barresi - Live Sicilia

Immobili, terreni e un vivaio| Il tesoro sequestrato al boss Barresi

Il provvedimento è stato emesso dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale su richiesta della Dda. Nel mirino le proprietà dell'esponente di Cosa nostra a Barcellona Pozzo di Gotto, latitante dal giugno 2011.

MESSINA –  La Dia, coordinata dal procuratore capo Guido Lo Forte e dai sostituti procuratori della Dda, Angelo Cavallo e Vito Di Giorgio, ha colpito ancora una volta il “cuore” dell’economia criminale di Barcellona. Sequestrati beni, per un valore totale di circa 2 milioni di euro, a Filippo Barresi di 57 anni, imprenditore del settore vivaistico, ritenuto personaggio di spicco della cupola barcellonese. Barresi è latitante dal giugno 2011, quando nei suoi confronti fu spiccato il mandato d’arresto nell’ambito della operazione Gotha.

A detta del procuratore Lo Forte, la sua latitanza sarebbe stata “studiata a tavolino” dai vertici della consorteria. A Barresi, che farebbe parte del quadriunvirato che gestisce il crimine del Longano insieme a Giovanni Rao, Salvatore Ofrìa e Giuseppe Isgrò sarebbe stato “consigliato” di sottrarsi alla cattura perché, con gli altri “dentro”, occorreva che almeno uno tra loro continuasse a gestire gli “affari di famiglia”. Perché proprio lui fra i quattro? “Per un calcolo di probabilità legato alle possibili condanne cui incorrevano gli altri”, ha spiegato Lo Forte. In pratica, per i tre reggenti il rischio di una lunga condanna sarebbe stato minore che per Barresi. Ecco che la sua latitanza era più necessaria che per gli altri. “Si tratta soltanto una chiave di lettura – ha detto il procuratore – legata alle rivelazioni dei pentiti eccellenti della mafia barcellonese Bisognano, Castro, Truscello, Gullo”. Sarebbero stati loro a dichiarare che Barresi sarebbe stato esecutore materiale di delitti e ferimenti. Come quello di Francesco Siracusa, assassinato nel 1989, o di Vincenzo Cattarino, nel ’91, oltre che del ferimento di Francesco Gambino, nel ’93. Tutte dichiarazioni, queste, sulle quali la Dda è al lavoro per il riscontro. Tra le rivelazioni di Carmelo Bisognano, inoltre, anche quella relativa al progetto di morte che Barresi avrebbe avuto in serbo per lui. Scarcerato nel settembre 2008, Bisognano, boss dei Mazzarroti, avrebbe tentato di acquisire nuovamente il ruolo perduto negli anni di detenzione. Un manovra che, a detta del pentito, avrebbe rotto gli equilibri formati nel frattempo: con Tindaro Calabresi che ne aveva preso il posto e con il quadriunvirato che, a sua volta, ne gestiva i movimenti dall’alto della cupola. Il “figliol prodigo”, dunque, andava ammazzato.

Bisognano racconta di incontri che avvenivano nei vivai di Barresi, tra l’imprenditore, il futuro pentito e Calabresi. Da quegli incontri, Bisognano comprese che stavano programmando di ucciderlo. L’agguato non avvenne mai. Pochi mesi dopo, nel febbraio 2009, Bisognano fu nuovamente arrestato.

Filippo Barresi fu assolto nel processo Icaro ma condannato a 3 anni e 4 mesi nel processo Mare Nostrum. I beni che gli sono stati sequestrati, intestati a familiari ma riconducibili a lui, sono l’impresa vivaistica della moglie Nunziata Lo Monaco, a Barcellona, una quota di diritto di azione di 2.500 euro, pari al 25% del capitale sociale di Maria Barresi della Saloon Sas di Vera Cucé & Co., otto terreni agricoli tra Barcellona e Castroreale, due fabbricati intestati a Nunziata Lo Monaco, due ciclomotori, tre automobili, un autocarro, conti correnti e altre forme d’investimento finanziario.


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