PALERMO – La parabola di Giovanni Niosi, 63 anni, ha rischiato di finire nel peggiore dei modi. Da reggente a “graziato”. Secondo i carabinieri, a San Lorenzo avevano pensato di ammazzarlo. Solo l’intervento di Paolo Calcagno, che nel 2015 era il reggente di Porta Nuova, il mandamento più influente della città, evitò il peggio.
In un primo tempo era stato deciso che dovesse essere Niosi a prendere in mano le sorti del clan di San Lorenzo dopo gli arresti del blitz Apocalisse del 2014. Se ne discusse nel corso di una riunione in casa della sorella di Niosi, alla presenza di Vincenzo Graziano (nel frattempo scarcerato e i di nuovo arrestato dopo il pentimento di Vito Galatolo), Sergio Macaluso e Pietro Salsiera. Ma si dovette attendere il mese di agosto 2015 per dare il via libera alla nomina di Niosi. L’ok definitivo doveva arrivare, infatti, da Maria Angela Di Trapani che era stata scarcerata in aprile. Per affrontare la delicata faccenda scelsero il bar Hilton di via Libertà (locale “nella disponibilità di Sergio Napolitano”, e la villa della Di Trapani a Cinisi.
Le lamentele, però, non tardarono ad arrivare. A Niosì, innanzitutto, veniva contestato di avere ammesso la partecipazione a Cosa nostra patteggiando la pena: “… dai libri di scuoia dei bambini qià glielo scrivono… mai ammettere… di fare parte di questa organizzazione, mai…”. E poi Niosi non era in grado di fare giungere i soldi alle famiglie dei detenuti. Il primo a storcere il naso fu Pietro Salsiera che ne parlò con Sergio Macaluso mentre era ricoverato al Cervello perché colpito da un infarto. E Macaluso riferì tutto a Sergio Napolitano: “… dico ci dobbiamo vedere però, magari una volta alla settimana, hai soldi, non hai soldi cioè hai discorsi di dire… siamo persi, siamo smarriti. Lascia stare che quello è buttato all’ospedale pure, ma lui… dico non è che si organizzano così le cose, minchia una barca sfasciata… è una barca sfasciata”.
Ma la colpa più grave era quella di parlare troppo. Aveva spifferato che c’era in programma, nel 2015, una riunione fra i mandamenti: “… dice fra poco si deve fare una riunione con i mandamenti… ma è squagliato di cervello perciò dice a cristiani che non c’entrano niente”. Una riunione importantissima che doveva restare segreta e di cui non si conosce l’ordine del giorno. Certo in ballo cui doveva essere qualcosa che andava oltre il lavoro sporco quotidiano.
E così i tre, che avrebbero successivamente creato una sorta di triumvirato di potere, avevano “parlato di posarlo” con Vincenzo Di Maio, anziano boss della zona. Quindi ne discussero nel settembre 2015 con Salvatore Lo Cricchio, zio di Maria Angela Di Trapani, che era disponibile ad accettare la destituzione di Niosi a patto che “dimostrate voi che sapete prendere le cose nelle mani… e allora gli dico stai a casa…”. Bisognava, però, parlarne di persona con “la gran signora”. Così veniova chiamata la moglie di Salvino Madonia. Andarono ad incontrarla nella sua villa a Cinisi per dirle “che elemento ha davanti, che è un fango un traditore…”. La Di Trapani si convinse che era meglio “buttarlo”. Si pensò anche alla soluzione estrema, ma “l’oltre era stato stoppato”. La parola “oltre” celerebbe i piani di morte, stoppa da Calcagno. Niosi doveva essere solo “posato”.