Parla il neo pentito Chiarello| "Pista mafiosa per Fragalà" - Live Sicilia

Parla il neo pentito Chiarello| “Pista mafiosa per Fragalà”

Il neo pentito Francesco Chiarello e l'avvocato Enzo Fragalà

Chiarello è un mafioso del Borgo Vecchio ed è nel popolare rione palermitano che sarebbe maturato il piano di morte per Fragalà, a cui lui stesso avrebbe partecipato. Il suo racconto riporta le indagini laddove le avevano concentrate gli investigatori nella precedente inchiesta che si concluse, però, con l'archiviazione.

PALERMO – Dal nuovo nuovo pentito, Francesco Chiarello, potrebbe arrivare la svolta nelle indagini sul delitto di Enzo Fragalà, l’avvocato penalista massacrato a bastonate sotto il suo studio, a due passi dal Palazzo di Giustizia di Palermo. Morì dopo alcuni giorni di agonia.

Chiarello è un mafioso del Borgo Vecchio ed è nel popolare rione palermitano che, secondo il collaboratore di giustizia, sarebbe maturato il piano di morte per Fragalà, a cui lui stesso avrebbe partecipato nelle fasi preparatorie. Il suo racconto riporterebbe le indagini laddove le avevano concentrate gli investigatori nella precedente inchiesta che si concluse, però, con un nulla di fatto.

Chiarello confermerebbe il coinvolgimento di Francesco Arcuri, Salvatore Ingrassia e Antonio Siragusa, già arrestati per il delitto nel 2013, e del boss Tommaso Di Giovanni ritenuto il mandante. Sono gli stessi indagati per cui, a gennaio scorso, su richiesta della stessa Procura di Palermo, il giudice per le indagini preliminari archiviò l’inchiesta, parlando di “un quadro indiziario frammentario, equivoco e complessivamente insufficiente”. Dalla stessa indagine uscirono pure Gaspare Parisi, Giuseppe Auteri, Antonino Abbate e Giovan Battista Bongiorno (accusato di favoreggiamento).

Di recente gli investigatori hanno ripreso ad analizzare gli elementi fin qui raccolti, ritenendoli validi nonostante la bocciatura, e aggiungendone altri. Tra questi, un’intercettazione. “… ma non è che sono stati quelli del Borgo?”, chiedeva Giovanni Di Giacomo. “Sì”, rispondeva senza esitazione il fratello Giuseppe. Era il 19 luglio 2013. I Di Giacomo, nella sala colloqui del carcere di Parma, discutevano dell’omicidio dell’avvocato Fragalà. La breve, ma significativa, conversazione fa parte del nuovo filone investigativo sull’efferato delitto del penalista palermitano.

L’intercettazione dei Di Giacomo, che non era inclusa nel vecchio fascicolo, è dell’estate di due anni fa. Otto mesi dopo quelle parole i killer avrebbero crivellato di colpi Giuseppe in una strada della Zisa. Giovanni, sicario ergastolano del gruppo di fuoco di Pippò Calò, chiedeva informazioni al fratello che in quel momento storico aveva assunto una posizione di vertice nel clan di Porta Nuova. La conversazione avveniva una settimana dopo che Arcuri, Ingrassia e Siragusa erano finiti in carcere nell’ambito dell’inchiesta poi culminata nell’archiviazione.

Giuseppe Di Giacomo, nel luglio 2013, dunque, sapeva che il delitto era stato deciso da qualcuno del Borgo. Il fratello si chiedeva “ma tu pensi che Spitino non sa niente?”. Spitino sarebbe il soprannome di Gregorio Di Giovanni, indicato allora come il reggente del mandamento di Porta Nuova. Per Giuseppe Di Giacomo era impossibile dare una risposta visto che il 26 febbraio 2010, giorno del delitto Fragalà, era detenuto al carcere Pagliarelli.

Non è l’unica conversazione in possesso degli investigatori. Il 17 gennaio 2014, dunque in epoca molto più recente, sempre nel carcere di Parma, Giovanni Di Giacomo, stavolta a colloquio non solo con Giuseppe ma anche con l’altro fratello Marcello, tornava a chiedere notizie dei tre arrestati: “… questi picciutteddi che fino hanno fatto?”. Solo che nel passaggio successivo sembrerebbe citare qualcun altro: “Ma con gli altri picciutteddi?”. “A posto, a posto”, tagliava corto Giuseppe, mentre Marcello diceva: “Niente, niente”. Giovanni rilanciava: “… ma pure… ma pure sono immischiati?”. “… no… pure (annuisce col capo, annotano i carabinieri)… lo vedi… non senti niente… belli tranquilli”. E giù risate.

Chi sono “gli altri picciutteddi”? Sono davvero coinvolti nel delitto come sembrerebbe emergere dalle parole dei Di Giacomo? Quel “non senti niente” può significare, come dicono gli stessi investigatori, che qualcuno bene informato era rimasto con la bocca chiusa? Il caso Fragalà resta aperto. E mentre si scava nei brogliacci, ecco il nuovo pentito che sembrerebbe riportare indietro le lancette investigative, nello stesso contesto da cui si erano mosse.

Quando scattarono gli arresti, nel 2013, nella misura cautelare il delitto non venne considerato aggravato dall’avere agevolato Cosa nostra né dal metodo mafioso. Ma mafioso era il contesto ricostruito dai pubblici ministeri. Ad indicare agli investigatori la pista che portava a Cosa nostra fu la collaboratrice di giustizia Monica Vitale. La Vitale disse di avere ascoltato Tommaso Di Giovanni mentre forniva, parlando con Gaspare Parisi (amante della donna ndr) una chiave di lettura dell’omicidio. Fragalà non si era comportato bene con la moglie di un cliente, e il cugino dell’indagato avrebbe chiesto ai mafiosi di dare una lezione al penalista per il suo atteggiamento irrispettoso. Il Gip definì “sostenibile” la sua tesi nonostante i dubbi degli stessi investigatori. Il cliente del penalista aveva dato fastidio con i suoi furti senza autorizzazione tanto che gli avevano bruciato la macchina. La mafia avrebbe mai potuto fare un favore, uccidendo il povero Fragalà, ad una persona che si era meritata una punizione? Ecco perché si ipotizzò un altro movente: Fragalà andava punito perché aveva fatto rendere dichiarazioni spontanee a due imputati in un processo che vedeva alla sbarra i boss dell’Uditore.

Il resto è storia recente con la scarcerazione di tutti i tre presunti killer, in virtù di una perizia che ha smontato la ricostruzione dell’accusa e ora le nuove dichiarazioni del neo pentito Francesco Chiarello.


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