CATANIA – Armi, droga, estorsioni: l’operazione che questa mattina ha portato in carcere 21 persone per associazione mafiosa ha scoperto i traffici degli uomini del clan Laudani nel randazzese. Il ritorno del capo Salvatore Sangani aveva dato una decisa accelerazione agli affari del clan. Accanto ai 21 arrestati anche 13 persone raggiunte da avviso di conclusione delle indagini e 3 politici randazzesi raggiunti da avviso di garanzia.
I 21 arrestati questa mattina nell’operazione dei Carabinieri catanesi sono Salvatore Sangani detto Turi, classe 1964; Francesco Sangani detto Paolo, classe 1986; Samuele Portale, classe 1988; Pietro Pagano detto Piero, classe 1981; Vincenzo Lo Giudice detto “mastro”, classe 1965; Giovanni Farina, classe 1985; Salvatore Crastì Saddeo detto “u niuru”, classe 1976; Michael Sangani, classe 1995; Marco Portale, classe 1982; Francesco Gullotto detto Ciccio, classe 1977; Giuseppe Costanzo Zammataro detto “Pippo u pazzo”, classe 1963; Giuseppe Sciavarello, classe 1980; Alfredo Magione detto “u cumpari”, classe 1968; Daniele Camarda detto “parillitta”, classe 1970; Salvatore Bonfiglio detto Turi, classe 1990; Salvatore Russo, classe 1996; Christian Cantali detto “San Martino”, classe 1997; Francesco Rapisarda detto “Ciccio ninfa”, classe 1975; Antonino Lupica Tonno detto Nino, classe 2001.
Il clan randazzese
Secondo le indagini dei Carabinieri, partite nel 2018 e concluse nel 2021, il responsabile del clan nella zona di Randazzo sarebbe stato Salvatore Sangani, noto per l’omicidio nel 1993 di Antonio Spartà e dei suoi due figli. Appena tornato a Randazzo dopo un confino obbligato in nord Italia, nel 2013, Sangani avrebbe subito imposto un’accelerazione alle estorsioni alle imprese della zona.
Sangani gestiva la zona del randazzese per conto di Paolo Di Mauro, al vertice del clan Laudani nella zona jonico-etnea fino alla sua morte nel gennaio 2021. Ad assistere Sangani nell’organizzazione dei traffici illeciti erano i figli Francesco e Michael e soprattutto il nipote Samuele Portale, che come braccio destro si occupava soprattutto del traffico di droga, mantenendo i contatti con altre organizzazioni per i rifornimenti di stupefacenti e incontrando altri boss della famiglia.
I politici
Nelle carte del Gip compaiono anche i nomi di tre politici di Randazzo, come destinatari di un avviso di garanzia. Si tratta di del sindaco Francesco Sgroi, dell’attuale presidente del consiglio comunale Carmelo Tindaro Scalisi e di Marco Stigliolo Crimi, all’epoca dei fatti consigliere comunale. Per i tre non sono state richieste misure cautelari di nessun tipo.
Come racconta in una conferenza stampa il colonnello Rino Coppola, comandante provinciale dei Carabinieri di Catania, “l’ipotesi di reato è che avrebbero accettato, in cambio di voti da parte del clan, di elargire vantaggi come posti di lavoro e assegnazione di alloggi popolari”:
Le armi
Le indagini per il blitz “Terra bruciata” iniziano con un fatto d’armi. Nel giugno del 2018 Antonino Zammataro Costanzo è raggiunto da alcuni proiettili sulla sua auto, e quando i Carabinieri di Randazzo lo interrogano lui rivela che gli spari sono un avvertimento di Samuele Portale, perché smettesse di spacciare in quella zona.
In seguito alle indagini, i Carabinieri hanno scoperto il coinvolgimento del clan in un grosso traffico illecito di armi, anche da guerra. Un arsenale affidato a Marco Portale, il fratello di Samuele, e che comprendeva 3 armi corte, 4 fucili, canne, caricatori, componenti e centinaia di cartucce. Le armi erano nascoste sottoterra, e per questo tra le attrezzature del clan c’era anche un metal detector, che permetteva di recuperare fucili e pistole senza mettere segnalazioni sul terreno.
“Le armi – racconta Luca D’Ambrosio, comandante della Compagnia di Randazzo – erano nella disponibilità del clan e pronte a essere usate nei confronti di altri gruppi criminali, come è successo per Costanzo. Ma nel periodo del lockdown diventarono anche un possibile strumento di introiti: data la scarsa disponibilità di soldi di quel periodo, i membri del clan pensarono di venderle per superare la crisi”.
Il traffico di droga
Tra le attività del clan c’era anche un grosso traffico di cocaina, hashish e marijuana gestito da Samuele Portale e dai due figli di Sangani. Nel corso delle indagini i Carabinieri hanno sequestrato 3 piantagioni di marijuana per un totale di più di 3500 piante, 15 chili di marijuana, 2 serre per la produzione di piante di canapa, un chilo di hashish, 50 grammi di cocaina.
Le estorsioni
L’altro grande pezzo del blitz “Terra Bruciata” è quello che riguarda le estorsioni, che si svolgevano nei modi tipici delle associazioni mafiose: intimidazioni a base di bottiglie incendiarie, telefonate, biglietti in cui si invitavano gli imprenditori a “cercarsi l’amico buono”.
Come emerge dalle indagini, però, il clan randazzese aveva escogitato un modo per evitare di essere coinvolto direttamente nella riscossione del pizzo. A ricevere materialmente i soldi, infatti, non erano uomini dell’associazione mafiosa, ma persone insospettabili, spesso amici d’infanzia degli imprenditori.
Le estorsioni prevedevano il pagamento di mille euro al mese, in tre diverse tranche: 4 mila a Pasqua, 4 a Ferragosto e 4 a Natale. Gli imprenditori coinvolti avevano denunciato gli atti intimidatori ai Carabinieri.