Mafia, 30 arresti fra Trapani e Palermo | Al vertice la sorella di Messina Denaro - Live Sicilia

Mafia, 30 arresti fra Trapani e Palermo | Al vertice la sorella di Messina Denaro

L'arresto di Patrizia Messina Denaro

di RICCARDO LO VERSO Patrizia Messina Denaro manterrebbe i contatti fra il fratello e i boss detenuti. La conferma in alcune intercettazioni. Da lei passerebbero le direttive per gestire gli affari. E Matteo su Giuseppe Grigoli disse: "Non lo toccate perché se parla...".  Fatta luce sui rapporti con i signori di San Lorenzo, Salvatore e Sandro Lo Piccolo. E spunta pure lo scambio elettorale politico-mafioso. Guarda le foto e leggi i nomi degli arrestati.

PALERMO – “Matteo dice… “, il fratello ordinava e lei eseguiva. Ci sarebbe una donna al vertice della mafia trapanese. Una donna dal cognome pesante. Patrizia Messina Denaro. È una delle quattro sorelle dell’ultimo padrino latitante di Cosa nostra. Da lui avrebbe ricevuto le direttive per guidare il clan, ma soprattutto per gestire gli affari.

Patrizia Messina Denaro, 43 anni, da alcune ore è finita in carcere assieme ad altre ventinove persone. Un blitz interforze – carabinieri del Comando provinciale di Trapani e del Ros di Palermo, investigatori della Dia, agenti delle Squadre mobili di Palermo e Trapani, poliziotti dello Sco e finanzieri del  Gico – che azzera la rete di protezione del capomafia di Castelvetrano e fornisce la prova della sua presenza sul territorio.

L’operazione è coordinata dal procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, Maria Teresa Principato, e dai sostituti Paolo Guido e Marzia Sabella.

Matteo Messina Denaro tiene in mano saldamente il bastone del comando. La conferma arriva da un’intercettazione. Patrizia avrebbe fatto da trait d’union fra il latitante e i mafiosi trapanesi finiti in carcere. A cominciare dal marito, Vincenzo Panicola. E sono loro i protagonisti di una stagione di fibrillazioni.

Si era sparsa la voce che Giuseppe Grigoli, il braccio economico di Matteo Messina Denaro, l’uomo del business della grande distribuzione targata Cosa nostra, avesse iniziato a parlare con i magistrati. E Panicola aveva incaricato la moglie di sondare il terreno, di capire quale contromisura prendere. In ballo, forse, c’era addirittura l’ipotesi estrema di eliminare Grigoli. Poi, arrivò il diktat di Matteo: “Non toccatelo, perché se parla può fare danno”.

Come arrivò l’ordine? Stavolta non ci sarebbero pizzini di mezzo. La comunicazione sarebbe stata diretta. A voce. Un incontro faccia a faccia o forse una telefonata. Una cosa, secondo gli investigatori, è certa: fratello e sorella sono entrati in contatto. Circostanza che emergerebbe dalle parole pronunciata dalla stessa donna che portò l’ambasciata di Messina Denaro in carcere al Panicola.

“Di’ a tuo marito – le avrebbe detto il fratello latitante – di mettersi nella stessa cella con lui”. Per controllare Grigoli, per tenerlo buono. Per evitare che facesse danno. Anche se Patrizia non era d’accordo. “Mica se lo può accudire in carcere”, avrebbe risposto al latitante energica com’era. Il pericolo Grigoli alla fine rientrò. E i Messina Denaro tornarono ad occuparsi di affari. Di appalti, di impianti eolici e persino della costruzione del Mcdonald’s su cui la mafia, all’insaputa del colosso americano del fast food, avrebbe messo le mani.

A gestire i lavori sarebbero state alcune aziende. La Mg Costruzioni controllata da Lorenzo Cimarosa e Antonino Lo Sciuto, e la BF Giovanni Filardo. Filardo, cugino di Messina Denaro, è uno dei nomi “noti” dell’operazione. Oggi torna in cercare dopo esserci finito una prima volta nel 2010, nei giorni dell’operazione Golem II, e soprattutto dopo essere stato assolto a novembre scorso. A garantire gli affari all holding di Messina Denaro sarebbe stata una rete di insospettabili. Tali sono, senza dubbio, gli ingegnereri Giuseppe Marino (che per altro è figlio di un giudice) e Salvatore Torcivia che lavorano al Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria che ha sede a Palermo. Per loro l’accusa è di avere favorito una ditta legata alla mafia, la Spe.Fra, nei lavori di manutenzione all’interno del carcere Ucciardone.

Sarebbe stata Patrizia Messina Denaro a gestire i guadagni e a stabilire la suddivisione del denaro. Una parte sarebbe finita anche al nipote Francesco Guttadauro, figlio di Filippo e Rosalia Messina Denaro, altra sorella del latitante. Un ragazzo che tempo libero era spesso in compagnia dell’ex calciatore del Palermo, Fabrizio Miccoli. A proposito di soldi, Patrizia non avrebbe esitato a spendere il suo cognome per estorcere 70 mila euro ad una donna che aveva ereditato una piccola fortuna dopo il decesso di un’anziana signora. La defunta era la madrina di battesimo di Patrizia Messina Denaro che non tollerò l’esclusione dal testamento.

Nelle carte dell’inchiesta spunta anche un capitolo che ipotizza il reato di scambio elettorale politico-mafioso.

E’ una retata, tristemente, al femminile. Oltre a Patrizia Messina Denaro altre sei donne sono state colpite dalla misura cautelare. Alcune figuravano al posto dei genitori a capo di aziende in odore di mafia, come la moglie di Filardo, Maria Barresi, e le Floriana e Valentina. Altre avrebbero fatto da prestanome per evitare i sequestri. Altre ancora avrebbero svolto le commissioni più disparate agli ordini del clan. Tra queste una vigilessa in servio in una paese della provincia di Milano, Antonella Montagnini. A lei si si sarebbe rivolto Nicolò Polizzi per controllare qualche targa sospetta. Temeva, infatti, di essere pedinato.

Il cuore dell’operazione è in provincia di Trapani, ma una fetta degli arresti è stata eseguita a Palermo. L’indagine, infatti, fa luce anche su una delle ultime pieghe oscure dei rapporti fra la mafia trapanese e quella palermitana nella stagione in cui erano ancora latitanti Salvatore e Sandro Lo Piccolo. A cominciare dalla figura di Franco Luppino che era stato il messaggero di Matteo Messina Denaro agli incontri con i boss di San Lorenzo.


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