"La roccaforte nella villa del boss" | Mafia allo Zen, diciassette arresti - Live Sicilia

“La roccaforte nella villa del boss” | Mafia allo Zen, diciassette arresti

Gli arrestati nel blitz "Fiume"

di RICCARDO LO VERSO Guido Spina, classe 1965, nonostante si trovasse agli arresti domiciliari avrebbe retto il clan mafioso dello Zen. È finito in carcere assieme ad altre sedici persone. L'inchiesta svela chi paga il pizzo, i traffici di droga e il controllo dei mafiosi sulle case popolari del rione palermitano. De Felice (Dia): "La guerra continua, in nome dei cittadini onesti". Messineo: "Allo Zen il pizzo come un prelievo tributario". Principato: "Nessun ottimismo".

BLITZ DELLA DIA A PALERMO
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5 min di lettura

PALERMO – Il recordman degli arresti torna di nuovo in cella. Guido Spina, classe 1965, nonostante si trovasse agli arresti domiciliari per motivi di salute avrebbe retto il clan mafioso dello Zen. Anzi, proprio la sua condizione di detenuto in una bella villa sarebbe diventata la chiave per ottenere rispetto e potere. Assieme a Spina sono finite in manette altre sedici persone. Tutte raggiunte da un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip su richiesta dei procuratori aggiunti Vittorio Teresi e Teresa Principato, e dei sostituti Dario Scaletta, Gaetano Paci, Annamaria Picozzi, Laura Vaccaro e Francesco Del Bene.

Per Spina stavolta la faccenda giudiziaria si complica. Perché gli uomini della Direzione investigativa antimafia gli contestano di essere il referente di Cosa nostra tra i padiglioni del quartiere alla periferia della città. Scelto direttamente dai vecchi boss che lui chiamava i “cristiani buoni”. In carcere c’è già finito una dozzina di volte. Ed è sempre andato ai domiciliari per gravi motivi di salute. Di lui finora si era detto che era l’uomo della droga, pronto a reggere le redini dei traffici di cocaina e hashish fra la Sicilia, la Campania e la Calabria.

Le nuove indagini non smentiscono il suo passato. Anzi, aggiungerebbero che ormai operava in grande stile. La sua villa bunker  dello Zen era diventata una “roccaforte” dei traffici. Un supermarket della droga all’ingrosso e al dettaglio protetto dai più sofisticati sistemi di sicurezza, violati, però, dall’intelligence degli investigatori agli ordini del capo centro Giuseppe D’Agata e del direttore nazionale della Dia, Arturo De Felice.

Non solo droga a fiumi, ma anche estorsioni. Sono diversi i commercianti e gli imprenditori che hanno pagato il pizzo. E non si tratta solo di attività che operano tra i padiglioni dello Zen. Così come la messa a posto sarebbero stati costretti a pagarla i residenti delle case popolari. Un obolo in cambio dei servizi primari, per vivere in condizioni dignitose. E Spina sapeva come ricambiare il rispetto dei residenti, come quando decise di invitare, a sua spese, alla festa di quartiere, il suo cantante preferito, il neomelodico Gianni Vezzosi. Tra i sue cavalli di battaglia, le canzoni “O killer”, e “Lettera a papà” che racconta la giornata di un detenuto.

I soldi delle estorsioni alimentavano la cassa della famiglia. Perchè Spina sarebbe diventato il personaggio più affidabile, l’uomo a cui affidare il delicato compito di provvedere alle esigenze economiche degli affiliati finiti in carcere e dei familiari rimasti fuori. Perché la regola del mutuo soccorso in Cosa nostra vale sempre.

“Il valore aggiunto è quello sociale. Siamo riusciti a penetrare in un quartiere roccaforte della mafia dove fino a qualche tempo fa era impensabile penetrare”. Così il direttore nazionale della Dia, Arturo De Felice, commentando in conferenza stampa il blitz. “È il frutto di un lavoro lungo e difficile, ottenuto grazie alla sinergia con la Procura distrettuale antimafia e alla professionalità dei nostri uomini – ha aggiuto -. La guerra prosegue, in nome dei cittadini onesti. Parecchie persone, benché timidamente e discreta si sono affacciate sull’uscio per manifestare un momento di sollievo e fiducia nelle istituzioni”.

“Allo Zen le cose cambiano molto lentamente – ha aggiunto il procuratore Messineo -. Si palesa come una zona franca, nonostante gli sforzi investigativi c’è molto da fare. Al lavoro incisivo delle forze di polizia e della magistratura non si accompagna una analoga operazione da parte delle altre autorità”. Messineo ha poi descritto l’ambiente del quartiere Zen. “È una zona con abusivismo imperante. Si registrano estorsioni di piccole somme, riscosse settimanalmente, pagate da chi abita nella zona – ha aggiunto -. È un vero e proprio prelievo tributario. Nell’ottica di un anno è una sorta di piccola Imu che viene riscossa per segnare il territorio. Per fare capire che c’è qualcuno a cui bisogna rendere conto. C’è da sperare che vi siamo piccoli segni di cambiamento. Il fatto che non ci sia stata la reazione del quartiere contro le forze dell’ordine è già un segno di speranza”.
Non la pensa allo stesso modo l’aggiunto Teresa Principato: “Speranza, ottimismo? Non mi sento sinceramente di nutrire questi sentimenti. Innanzitutto perché per lo spaccio queste persone erano già state arrestate. Una di queste gestiva l’organizzazione dagli arresti domiciliari. Il collaboratore Salvatore Giordano – ha spiegato – ci dice che annotava le entrate per riferire tutto a Guido Spina. Ritroviamo una forte componente familiare nell’attività di spaccio, questo significa che in quel quartiere afflitto dal degrado ancora oggi intere famiglie vivono di droga. L’organizzazione riesce a superare eventi come il sequestro di notevoli quantitativi di stupefacenti, che significa perdita di grosse somme di denaro. Riesce a superare gli arresti e le collaborazioni di giustizia. Riteniamo, dunque, che l’organizzazione sia ben strutturata e radicata. Elemento nuovo dell’operazione- ha concluso – è il fatto di ritrovare la Puglia come canale di approvvigionamento della droga”.
Vittorio Teresi: “Lo Zen è territorio chiuso, auto protetto e difficile da penetrare. Ecco perché soltanto individuando i vertici operativi da subito si ottengono i risultati investigativi. Guido Spina è stato posto al vertice del gruppo dello Zen 2 da chi domanda veramente, ocome lui stesso diceva. Dobbiamo evitare di cadere ancora una volta nella trappola di uno Spina che sfugge al carcere in quanto trapiantato di fegato – ha sottolineato l’aggiunto -. Una volta libero si muoveva con disinvoltura nel suo territorio e fuori. Insomma, non ha alcun tipo di difficoltà dovuto alle sue condizioni di salute. Speriamo che sia assicurato alle patrie galere per il tempo che sarà stabilito da un giudice. La mafia riesce a individuare il quantum da richiedere alla vittima delle estorsioni perché superando il limite di tolleranza si corre il rischio della denuncia. In via Gino Zappa tutti i piccoli commercianti pagavano cinque euro a settimana. Difficilmente si può dire di no a questa cifra anche per la capacità di intimidazione di chi te la chiede. Chiedere una somma piccola significa seminare il terrore in un’intera strada”.
Per Giuseppe D’Agata, capocentro della Dia “sono stati delineati i nuovi assetti della famiglia dello Zen. A cominciare da Guido Spina che in poco tempo aveva raggiunto un carisma enorme. Viveva in una casa con doppio cancello elettrico, mura ci cinta altissime, sistemi di video sicurezza, porte blindate e una serie di dépendance. Stamattina abbiamo avuto difficoltà per accedervi – ha ggiunto -. Naturalmente era tutto abusivo”.

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