Mafie, infiltrazioni e il caso Riina |Gratteri alla Scuola Superiore - Live Sicilia

Mafie, infiltrazioni e il caso Riina |Gratteri alla Scuola Superiore

Il Procuratore di Catanzaro ha risposto alle domande relative alla sentenza della Cassazione sul boss siciliano che ha aperto ampi dibattiti.

CATANIA – Mafie, prassi mafiose e intrecci socio-economici: fatti apparentemente noti, dati storici e rovine attuali ma quasi ignorate. Questi i temi del dibattito tenutosi alla Scuola Superiore di Catania, che ha visto confrontarsi il procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri, ed il sociologo Carlo Colloca. Moderato dal giornalista Mario Barresi, l’incontro ha visto la nutrita partecipazione di esponenti delle forze dell’ordine, rappresentanti istituzionali e, soprattutto, studenti della scuola di eccellenza catanese. La presenza del magistrato calabrese, forse il maggior esperto nazionale di ‘ndrangheta, ha permesso di tracciare un profilo storico dell’organizzazione criminale e delle proprie attività, diffusesi in Calabria e attraverso l’Italia tra Ottocento e Novecento per poi ramificarsi attraverso l’Europa.

“La ‘ndrangheta non è stragista ed ha sempre cercato accordi con le istituzioni anche tramite ambienti massonici. Non ha collaboratori di giustizia: i suoi affiliati sono addestrati militarmente per circa un anno e mezzo, nelle carceri sono detenuti modello”. Lineare, non privo di razionale inquietudine, il ritratto degli ‘ndranghetisti nelle parole di Gratteri, che ne ha quindi ripercorso le strategie su scala europea: “I proventi dello spaccio di cocaina sono investiti nell’acquisto d’immobili e terreni: significa l’acquisizione, in tutta Europa, di pezzi di territorio. E’ un’organizzazione ricchissima, che immette sul libero mercato miliardi di euro di provenienza illecita devastando l’economia. Si pensi a cosa sarebbe in grado di realizzare acquistando media, instillando opinioni”. Ma le istituzioni europee, monopolizzate dalla minaccia del terrorismo islamista, tenderebbero nell’immediato a sottovalutare le organizzazioni criminali.

Risaputa è la capacità delle mafie d’insinuarsi entro gli interstizi sociali che lo Stato non riesce a gestire: uno dei temi posti dal sociologo Colloca ha riguardato proprio l’emergenza migratoria in atto. “Una corretta idea sociale di accoglienza, a partire dagli sbarchi del 1991, si è trasformata dopo oltre un quarto di secolo in retorica. Le condizioni di straordinarietà offrono ai criminali possibilità di agire e persino di rendersi indispensabili sul piano economico: si pensi al caporalato”. La risposta del dott. Gratteri comporterebbe possibilità di cooperazione internazionale: “C’è un’emergenza perché manca la programmazione. L’Italia potrebbe mandare alcune imprese in Africa a costruire infrastrutture sociali. Certo, non con un’idea di ‘colonizzazione’: le bombe in Europa sono anche un prodotto di quel sistema politico”. Quanto ai “professionisti dell’antimafia”, come Leonardo Sciascia ebbe a definire gli anti-mafiosi di comodo, spesso collusi o in via di collusione, anche qui si è avanzata una proposta schietta: “Dico sempre che per combattere la mafia non serve dare soldi alle associazioni, semmai organizzare doposcuola, attività aggregative e culturali. Costruttivo è parlare ai ragazzi, spiegare che delinquere non conviene. Le mafie si nutrono di simboli per irretire utili idioti”.

Pesava sul pubblico la questione degli ultimi giorni relativa alla sentenza della Cassazione in merito alla valutazione del caso di Totò Riina e la questione dell’incompatibilità della detenzione per motivi di salute: inevitabili le domande in merito al procuratore di Catanzaro.  “Non vogliamo la modifica delle norme ma la completa applicazione delle regole: persone come Riina sono macchine di morte, anche se si ha la massima cura a tutelarne i diritti in quanto esseri umani”, ha affermato Gratteri. La questione va pure inserita, a detta del procuratore, nel quadro di un sistema carcerario che, dalle strutture all’amministrazione, presenta non poche contraddizioni e possibilità di miglioramento. Il quadro complessivo, anche a livello di cultura della legalità, non è certo dei migliori: “Di mafia, commemorazioni a parte, oggi si parla poco. D’un lato non c’è interesse alla ricerca, dall’altro l’argomento non crea audience: la maggior parte delle persone cambia canale dinanzi ad un argomento doloroso, salvo poi indignarsi”. Cento entusiasti partecipanti ad un dibattito non influiranno su un sistema criminoso, ma possono certo contraddire l’assuefazione generale.


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