CATANIA – Processo “Mailgate”: in aula Luca Palazzo, sistemista informatico dell’Università. Il teste, interrogato dal Pm Raffaella Vinciguerra, ha ricostruito la vicenda inerente alla creazione delle due liste di distribuzione poi utilizzate per inviare a studenti e docenti dell’Ateneo etneo comunicazioni di tipo elettorale a sostegno della candidata Udc Maria Elena Grassi. Assente, invece, il secondo teste previsto per l’udienza odierna: l’informatico Giuseppe Caruso. Palazzo, rispondendo alle domande del Pm, ha definito il suo ruolo di “gestione della parte tecnica” all’interno dell’unità operativa controllata da Enrico Commis, imputato nel provvedimento insieme all’ex rettore Antonino Recca e al funzionario Di Maria Antonio.
Il nodo centrale della sua deposizione riguarda la modalità di funzionamento del sistema. Sarebbe stato Enrico Commis a commissionare la creazione delle due mailing list su “richiesta dell’ufficio del rettore” (nei verbali come ha fatto notare il Pm, il teste aveva invece parlato di una richiesta diretta di Recca), le due liste non erano moderate e non serviva una specifica autorizzazione ha spiegato il teste ribadendo di non conoscere all’epoca dei fatti le finalità delle liste. Palazzo, inoltre, ha ricostruito quello che avvenne quando il tentativo di invio delle mail non andò a buon fine: “un problema di configurazione”. All’origine del problema c’era un nuovo sistema, chiamato a sostituire il precedente e non utilizzato prima.
Dopo la segnalazione di Commis, Palazzo verifica il problema e corregge l’errore di configurazione . In seguito sarà lo stesso Commis a chiedere a Palazzo di bloccare la lista. Sul motivo scatenante della richiesta, l’imputato dice di non sapere ma la Pm gli ricorda quanto detto durante il primo interrogatorio (cioè “dopo avere appreso dello scandalo”). Dopo le domande del Pm, è stata la volta dei controesami degli avvocati Giovanni Grasso ( legale dell’università che si è costituita parte civile) e Goffredo D’Antona (legale di Enrico Commis). Le risposte del teste alle domande dei legali hanno chiarito, tra le altre cose, che nelle liste di distribuzione c’erano soltanto studenti e docenti residenti a Catania.
Palazzo, inoltre, ha utilizzato un esempio: il sistema funziona come un condominio con un portiere, il server, che non sa, se non gli viene comunicato, chi abita nel palazzo (i destinatari delle mail). L’intervento del funzionario va proprio in questo senso. “Il mittente non conosce l’identità dei destinatari contenuti nelle liste di distribuzione e i destinatari non conoscono i nomi delle altre persone che hanno ricevuto la stessa comunicazione”, ha inoltre spiegato il teste. Infine Palazzo, rispondendo alle domanda del legale di Commis ha spiegato che l’operazione di creare mailing list era un procedura abituale.
Il 16 marzo durante la prossima udienza saranno chiamati a testimoniare Giuseppe Caruso, Maria Elena Grassi e suo figlio Daniele Di Maria. In quell’occasione verrà depositata da parte del Pm la richiesta di archiviazione della posizione della Grassi.