PALERMO – Calogero Mannino chiede un po’ di tempo per riordinare le idee. Per metabolizzare la notizia dell’assoluzione. Poi, scende dalla sua abitazione e attacca a testa bassa. Ce l’ha con i pubblici ministeri. È chiaro fin da subito: “Io spero che sia stata scritta la parola fine. Certamente è stata scritta su questo atto con una decisione coraggiosa che conferma il mio convincimento. Ho sempre avuto fiducia nella giustizia, non nei pm che rappresentano l’accusa, molte volte in maniera ostinatamente pregiudiziale”.
Sta dicendo che da parte della Procura ci sarebbe stato un accanimento nei suoi confronti?
“Non capisco perché lei parla di Procura della Repubblica, dovrebbe parlare di alcuni pubblici ministeri. Allora le dico di sì, c’è stato decisamente un accanimento. La tesi dell’accusa è fantasiosa, l’abbiamo dimostrato. Leggete l’atto di rinvio a giudizio del Gup, lo stesso Morosini (Piergiorgio Morosini, ndr) si poneva il problema delle prove e affidava ai pm l’incarico di dimostrarle. Non avevano prove, perché non ci sono fatti. In questa vicenda io sto da un’altra parte, ho sempre servito lo Stato e la Repubblica con lealtà. Senza la mia azione politica non ci sarebbero stati due fatti importantissimi: il sostegno politico all’iter complesso e travagliato del maxi processo e quello che ha portato Giovanni Falcone alla direzione generale degli Affari penali. Fu una scelta non personale ma di tutto il governo Andreotti, che fece propria la strategia di Falcone”.
Cos’è stato allora, un processo politico?
“No, tranne Ingroia che poi è fuggito, questi pm non hanno una dimensione politica, hanno dimostrato di avere delle debolezze, qualcuno per altro è assuefatto alla ostinazione accusatoria. Di Matteo è il pm che ha fatto condannare persone innocenti a Caltanissetta. E nessuno gli chiede conto e ragione di ciò, forse con la sua ostinazione voleva ripetere l’errore. I pm si sono dimostrati privi del senso comune, pensare che potessi condizionare tutti è ridicolo”.
Se accanimento c’è davvero stato, lei si sarà chiesto il perché
“Questa domanda va rivolta ai pm. La funzione dell’accusa non è esercitarsi liberamente, ma valutare se sono state trovato prove o meno”.
Lei è considerato l’ispiratore dei contatti fra ufficiali dei carabinieri e Cosa nostra. In pratica avrebbe dato il via alla Trattativa.
“È ridicolo. Chi conosce l’Arma dei carabinieri sa che è fedele nei secoli”.
La sua assoluzione rischia di minare il processo ancora in corso in Corte d’assise?
“È una una valutazione che non intendo fare. Per quel che mi riguarda sono stato assolto per non avere compiuto il fatto. Sono esterno ed estraneo ad ogni possibile Trattativa”.
La Trattativa ci fu o no?
“Ne dubito. Ci sono stati carabinieri che hanno fatto il loro mestiere”.
La Procura dice che impugnerà la sentenza?
“Male. In realtà non è la Procura ma un pm. Ha già annunciato che farà appello (il riferimento è ad Antonino Di Matteo, mentre il procuratore Francesco Lo Voi ha detto che prima bisognerà leggere le motivazioni per valutare cosa fare, ndr). È la prova dell’ostinazione che dovrebbe essere spiegata da questo pm (Di Matteo, contattato dall’Ansa, ha replicato che “non può rispondere alle dichiarazioni di un imputato).
Mannino si sente, dunque, vittima della giustizia?
“Non della giustizia, ma vittima di alcuni pm che continuano la seguire la linea politica a loto impartita a cavallo dagli anni Novanta”.
Impartita da chi?
“In quella fase dalla convergenza di interesse fra una parte del Partito comunista e una parte della magistratura”.
Nella vicenda Trattativa sono stati coinvolti diversi politici. C’è stata pure la deposizione in aula dell’allora capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Cosa ne pensa?
“È stato penoso. Si è portato Napolitano in un’aula giudiziaria senza avere riguardo per l’immagine dell’Italia nel mondo. Mantengo non pochi rapporti con rappresentanti di molti paesi e so benissimo che ha pesato negativamente. Ma questo non interessa a questi pm. A loro interessava lo spettacolo che un guitto ha fatto in alcune sale cinematografiche in cui impartiva loro gli indirizzi relativi al processo”.
Scusi, chi sarebbe il guitto?
“Un suo collega, un giornalista. (tra i cronisti c’è chi fa il nome di Marco Travaglio). Me lo sta dicendo lei, non confermo e non smentisco (sorride ndr)”.
È pensabile che un processo così delicato sia stato impostato su quello che lei definisce un guitto?
“No, ci ha fatto qualche libro e ci ha guadagnato un po’ di soldi”.
In questi tre anni ha mantenuto la fiducia nella giustizia?
“Ero sicuro della mia innocenza e poi vi sono moltissimi giudici, i più, che sono limpidi e sereni”.
Oggi come si sente?
“Sono contento soprattutto per mio figlio e per i mie nipoti. In questa vicenda non c’è spazio per un contributo dell’immaginazione. Nel 1991 l’esplosione della rabbia di Cosa nostra si è trovata coincidente con interessi politici interni al paese ed esterni che volevano la fine della Dc. È un dato di fatto, un obiettivo realizzato”.