PALERMO – Mascherine cinesi “non a norma” sono state distribuite in alcuni ospedali siciliani. La Protezione civile le ha ritirate su indicazione di una nota del dipartimento “Programmazione strategica” della Regione, servizio “monitoraggio acquisto in ambito sanitario”. L’input è arrivato dalla Procura di Gorizia che da settimane indaga sul caso e ha disposto un maxi sequestro su tutto il territorio nazionale.
La nota è stata spedita a metà aprile agli ospedali Giglio di Cefalù e Buccheri La Ferla di Palermo, all’Ismett sempre a Palermo, e al Centro neurolesi Bonino Pulejo di Messina. Terminata la ricognizione, come conferma il capo della Protezione civile siciliana Salvo Cocina, i dispositivi sono stati ritirati.
Non è ancora noto il numero dei pezzi che era stato messo a disposizione del personale sanitario siciliano, quante mascherine sono state utilizzate e quante erano in giacenza nei magazzini.
Il provvedimento di sequestro riguarda in tutta Italia 60 milioni di dispositivi FFP2 e FFP3 che non sono risultate a norma. In particolare, si è scoperta una capacità filtrante dieci volte inferiore rispetto a quanto dichiarato.
L’indagine della Procura di Gorizia, al momento è contro ignoti, ipotizza una sospetta frode nelle pubbliche forniture. Si sta, però, cercando di ricostruire la filiera che parte dalla vecchia struttura commissariale per l’emergenza Covid gestita dall’ex commissario Domenico Arcuri.
Nel contempo si sta valutando se e a quali rischi è stato esposto il personale sanitario che ha indossato le mascherine. Lo scorso febbraio alla finanza erano arrivate la segnalazione di alcuni operatori degli ospedali del Friuli Venezia Giulia preoccupati dal fatto di dovere indossare i dispositivi. Le successive analisi di laboratorio hanno fatto emergere la scarsa capacità protettiva. E così si è arrivati al sequestro di fine marzo e alla successiva ricognizione che ha coinvolto la Sicilia.
Adesso anche i dispositivi prima distribuiti e poi ritirati nell’Isola saranno sottoposti alla valutazione degli esperti per verificare se anch’esse presentano le stesse imperfezioni che le rendono pericolose.