La Procura di Palermo ha chiesto la condanna, complessivamente, a 23 anni di carcere di otto persone coinvolte nell’inchiesta sulle cosiddette patenti facili che, nel 2005, portò all’arresto di nove dipendenti dell’Ufficio provinciale del Dipartimento dei Trasporti terrestri (ex Motorizzazione) del capoluogo siciliano e di tre titolari di autoscuole. La pena più alta (5 anni e sei mesi) è stata invocata per Francesco Armanno, proprietario di una decina di autoscuole cittadine.
Per il figlio Massimo Salvatore Armanno e i funzionari della Motorizzazione, Giampiero Lo Bello e Leonardo Davì, il pm ha chiesto 3 anni; per l’impiegato Giuseppe Perricone 3 anni e sei mesi; mentre due anni e sei mesi sono stati chiesti per i funzionari Luigi La Rocca, Luigi Santucci e Gaetano D’Esposito. Gli imputati sono accusati a vario titolo di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione aggravata, falso in atto pubblico e falso ideologico. Il processo, che oggi ha rischiato di ricominciare per il cambiamento di composizione del collegio giudicante – le parti, però, hanno dato il consenso al rinnovo degli atti evitando di azzerare il dibattimento – è iniziato nel 2008, tre anni dopo la misura cautelare. Forte il rischio di prescrizione dei reati.
Secondo l’accusa, giovani con scarsa attitudine allo studio, invalidi preoccupati dalla visita medica ma anche uomini e donne di mezza età desiderosi di arrivare al traguardo in tempi brevi, si rivolgevano alle autoscuole palermitane ‘Armanno’ per avere la patente senza troppi sforzi. E i titolari accontentavano tutti. Bastava pagare. Parte dei soldi, sborsati dai candidati, andavano ai funzionari della Motorizzazione compiacenti, parte li tratteneva Armanno che teneva i contatti con i dipendenti corrotti.