PALERMO – La protesta è dura. Benito Morsicato, picciotto del clan di Bagheria, ha scritto una lettera di preavviso al Servizio centrale operativo che ha il compito di proteggerlo. Poche righe per annunciare la volontà di lasciare la località protetta dove si è trasferito quando ha voltato le spalle a Cosa nostra.
Da un lato dice Morsicato di essere stanco dei continui spostamenti – impossibile rifarsi una vita – e del ritardato pagamento del sussidio; dall’altro spiega di volere tornare a “camminare a testa alta in Sicilia, perché il problema non è mio, ma di chi abbassa lo sguardo pur di non salutarmi”.
Lui, dice, ha fatto una scelta “per cambiare vita e dare un futuro a me stesso e alla mia famiglia”. Una vita difficile quella del collaboratore di giustizia. I trasferimenti, anche improvvisi, servono a garantire la sicurezza di Morsicato e dei familiari.
È stato l’ultimo ritardo nel pagamento del sussidio a fiaccare le sue certezze. “Ho cercato un lavoro e l’ho pure trovato – spiega l’ex uomo del clan bagherese – ma ho dovuto rifiutare perché nell’attesa mi è stato bloccato senza preavviso il sussidio e sono venuti a mancare i presupposti per la mia sopravvivenza giornaliera e i viveri di prima necessità. Non ho né amici, né parenti e non posso avvalermi dell’aiuto di nessuno a questo punto di mi vedo costretto ad abbandonare la località protetta”. Morsicato, come tutti i collaboratori di giustizia, riceve poco più di mille e cinquecento euro al mese. Sussidio che viene meno qualora il collaboratore trovi un lavoro. Pare che l’ultimo ritardo sia dovuto a faccende burocratiche in corso di risoluzione. Per Morsicato, invece, si è trattato dalla più classica delle gocce che fa traboccare il vaso.
Morsicato si è pentito nel 2014. A 35 anni faceva parte della manovalanza della mafia di Bagheria. Uno dei tanti picciotti disponibili per le ritorsioni del racket. Autista del Coinres, pregiudicato per rapina, studiava da mafioso, ma ha scelto di cambiare vita prima di diventare uomo d’onore.