La munnizza batte la speranza| Questa Palermo è per sempre - Live Sicilia

La munnizza batte la speranza| Questa Palermo è per sempre

Palermo di oggi non è meglio della Palermo di ieri. La città di Leoluca Orlando non è meglio della città di Diego Cammarata. E ognuno potrebbe raccontare la sua storia di disagio dentro una storia che sembra immutabile.

Palermo forse un giorno sarà bellissima, intanto è orrenda. Vince sempre il duo “Muffico” (munnizza + traffico). E non mancano né i dettagli, né le metafore. Tanto che chiunque potrebbe raffigurare la propria esemplare catalogazione di un simile orrore.

Primo esempio di scuola: via Lanza di Scalea, nei pressi del velodromo. Macchine cementate alle otto del mattino, in un mastice colloso. Non c’è l’ombra di un vigile per recare sollievo all’ingorgo. Qualcuno si sente male. Qualcuno parla al telefonino con qualcun altro per avvisare del ritardo. Si riesce a sgattaiolare a fatica dall’Alcatraz delle marmitte. Ed eccoli i vigili urbani – placidi, sorridenti, superflui – all’inizio di viale Strasburgo, qualche chilometro più in giù, pronti a multare i reietti della corsia preferenziale. Perché non erano lì dove sarebbero stati necessari? Perché Palermo funziona come una trappola che costringe i suoi topi all’evasione di massa. E poi li punisce.

Secondo esempio di scuola: lo scrittore – e premio Nobel – Mario Vargas Llosa, immortalato in mezzo a cumuli di immondizia alla Vucciria. Una cartolina maleodorante, pubblicata da LiveSicilia, annotata en passant, con sufficienza. C’è una tale abitudine al tanfo da non farci nemmeno più caso. E vince sempre il premiato duo “Muffico”. E sempre trionfano gli esempi tragici. E questa città mai cambia.

No, non si svolta. Palermo orlandiana non è meglio dell’altra Palermo, quella esecrata, quella atroce di Diego (Cammarata), indicato quale colpevole primario dai corifei dell’attuale amministrazione. In più c’è solo, nell’aria, una frivolezza di primavera, un giacobinismo di ciuffi vezzosi-spettinati. “Un giorno questa città sarà bellissima”; vibra lo slogan sulla putrefazione. Ci sono i cantieri che recheranno onore e gloria – sostengono gli orlandiani di platino – c’è il tram in divenire, c’è un ribollire di sogni arabo-normanni… Nel frattempo, la vita quotidiana è un supplizio. Ed è tutto un volteggiare contromano di speranze a buon mercato sulle carcasse, sopra il frastuono, oltre il voltastomaco che danno i rifiuti cotti al sole.

Niente di nuovo sotto il sole e sopra i rifiuti: il sindaco Orlando è un formidabile miscelatore di dolcificanti aggiunti all’amaro calice. L’ultima recita prevede l’olocausto del presente, obolo necessario per comprare la futura cittadella del sole. Soffrite pure palermitani, agonizzate in macchina, tentate lo slalom a piedi tra carogne e schifezze, turatevi il naso per non sentire il lezzo della decomposizione. E più state male, più sarete salvi. Stiamo lavorando per voi – non avete notato il cartello? – i figli dei dei figli dei figli vedranno (forse) la redenzione.

Storia nota. Minestra arriquariata. Si curino gli addobbi funebri, col funerale alla porta. Si disseminino petali sui sentieri devastati. Si attui lo stratagemma antico della suggestione. Infatti, Luca corre all’aeroporto per omaggiare l’audace campionessa di tennis, reduce dalla finalissima. Rilascia meditabonde e datate riflessioni, concede interviste su tutto tranne che sull’essenziale. Affastella gli artifici retorici sulla retorica degli artifici, indossando la sempreverde uniforme ricamata del distrattore di massa, mentre Palermo affonda. Qui ci vorrebbe, invece, un sindachello, un segretario comunale, un capo-condomino, qualcuno in grado di occuparsi della prosa, delle cacche dei cani, della viabilità, eccetera, eccetera, eccetera. Uno per cui ciò che sarà – meravigliosamente – domani non sia per forza la catastrofe dell’oggi.

Accanto a Luca, sfavilla l’uomo giusto per le utopie: tanto da esserlo perfino di nome. Giusto Catania è il braccio della rivoluzione di cartapesta, il Savonarola innamorato della camminata a piedi, lo sceriffo di Nottingham che toglie agli automobilisti per non dare ai pedoni. Una brava e sensibile persona, sinceramente impegnata, con un leggerissimo difetto: l’assessore al ‘Ciaffico’ non lo sa fare. Dovrebbero cambiargli il nome – per scherzo – coloro che annaspano tra le spire della sua Mobilità. Giusto? No, Sbagliato.

Terzo esempio di scuola: via Cavour. Vigili di guardia all’immobile sbarra che inibisce l’ingresso in centro. Intorno, ardono le fiamme dell’inferno. C’è chi dovrebbe perfino posteggiare per recarsi in ufficio; e va bene che il lavoro rimanda all’archeologia dei padri che avevano addirittura il posto fisso, tuttavia, qualche superstite resiste ancora, per quanto anacronistico. Non meriterebbe protezione dall’autorità municipale? Il tapino lavorante arranca, non trova riparo. Dopo un’ora si convince: macchina al posteggiatore abusivo e tanti saluti a Madama Legalità. Orribile.

L’omone con cappellino e fischietto è l’unico presidio sul territorio. Non lo è la polizia municipale, se non per raccogliere a strascico ghiotte multe. Non lo è il sindaco, affascinato dai riflessi dorati che allontanino Palermo dall’evidenza del suo sfascio. Non lo è l’assessore nemico del patriziato dello specchietto retrovisore. Con chi prendersela se l’abusivo posteggiatore – di derivazione mafiosa – si erge a signore incontrastato di ogni contrada?

Non si svolta, no. Nessuno crede più agli slogan, ai gerundi, all’insopportabile “stiamo finalmente cambiando”. Non c’è il tempo: bisogna annaspare per non annegare. E non bastano gli eroi, i santi, le preghiere, le maledizioni e le cartoline per avere fede. E non è sufficiente nemmeno crocifiggere Diego per giustificare i fallimenti di Luca, in fondo a un tunnel di sconfitte. Questa oggi è Palermo, stretta alla sua carcassa. Questa è Palermo per sempre.

 


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