PALERMO – “Poi si vedrà”, dice. Ma, in realtà, lascia uno spiraglio più che aperto sulla possibilità di bissare la sua esperienza in politica: “Non rinnego nulla, anzi. Se un domani ci sarà l’opportunità per rifarlo, perché no?”. Un anno dopo l’avvio della sua campagna elettorale per la presidenza della Regione e poi la sconfitta alle urne lo scorso novembre, il rettore dell’Università di Palermo, Fabrizio Micari, è seduto di nuovo alla sua scrivania al terzo piano dello Steri. E parla di politica, di infrastrutture, di cervelli in fuga, ma soprattutto dell’ateneo su cui vuole concentrarsi per i prossimi tre anni di mandato che lo aspettano e su cui, parole sue, “bisogna investire di più”.
A quasi un anno dalla sua avventura in politica alle elezioni regionali, è di nuovo in Rettorato. Si è pentito di quella candidatura? Soprattutto, la rivedremo?
“L’ho fatto con grande entusiasmo ed è un’esperienza che non rinnego, anzi. Forse i tempi non erano ancora maturi e ho avuto lo svantaggio di non conoscere quel mondo, ma se un domani ci sarà l’opportunità di rimettermi in gioco, perché no? Candidandomi, volevo portare avanti un progetto che mettesse al centro i giovani, per dare loro un futuro e la speranza di tornare, ma poi mi sono reso conto che, quello politico, era un mondo che non conoscevo: troppe divisioni a tutti i livelli, interni ed esterni, e nel caso specifico, ho patito il fatto che il mio schieramento si andò frammentando sin da subito. Ma non mi sono mai sentito “usato””.
A vincere le elezioni alla fine è stato Musumeci. Il suo assessore all’Istruzione è il suo predecessore Lagalla. Come sono i rapporti con lui e con quel governo?
“Buoni. Ognuno fa il proprio mestiere, ma è evidente che abbiamo dei punti di contatto. Al momento non ho avvertito nessuna forma di avversità, anche perché la mia è stata sul serio una sfida gentile, fatta di contenuti e idee”.
E i rapporti con Leoluca Orlando, che la “lanciò” nella competizione elettorale?
“Quelli invece sono ottimi. Ma non è una novità. Con lui, oltre a tutto il resto, c’è un rapporto di vera amicizia”.
Magari, allora, la rivedremo per le prossime amministrative…
“Poi si vedrà, non penso a nulla. Anche perché qui all’Università c’è molto da fare e, per i prossimi tre anni (fino alla scadenza del mandato, ndr), mi dedicherò all’ateneo”.
A proposito di Università, partiamo dall’ultimo “evento” in ordine di tempo: le immatricolazioni. Si sono aperte il primo agosto, un primissimo bilancio?
“Ad oggi, chiaramente, non si può ancora dire molto in termini numerici. Interessante, però, è il dato relativo agli iscritti che hanno fatto i test on-line lo scorso aprile: per corsi come Biologia, Biotecnologia e Ingegneria Biomedica siamo già al 60-70% di copertura dei posti disponibili”.
Medicina, invece, aumenta la capienza?
“Sì, passando a 350 unità (50 in più rispetto allo scorso anno, ndr), mentre Infermieristica sale a 210 posti. Restano, comunque, corsi a numeri troppo bassi, se consideriamo che 22 mila dei nostri giovani fanno Medicina fuori dalla Sicilia, altri 3 mila vanno via per studiare Infermieristica e, ancora, un altro migliaio per professioni sanitarie in generale. Sappiamo che il numero selezionato va di pari passo con il fabbisogno lavorativo di una Regione, ma qui è sproporzionato rispetto al desiderio che c’è: bisogna investire di più sul sistema universitario siciliano”.
Come?
“Un passo avanti lo abbiamo fatto con l’ingresso dell’Università nei Cda dei Consorzi Universitari: se fino ad ora erano stati gestiti solo da Regione siciliana ed Enti locali, adesso nella governance c’è anche l’ateneo”.
Cosa che concretamente comporta…
“… una maggiore solidità, sicuramente. Da un punto di vista finanziario, invece, la manovra Baccei non è stata modificata, per cui abbiamo la sicurezza delle risorse: la Regione finanzia l’8% di ogni corso di laurea istituto (una triennale di Ingegneria, ad esempio, costa circa 1 milione e mezzo di euro; di questi, dunque, 120 mila arrivano da Palazzo d’Orleans, ndr) e il 30% per la gestione dei consorzi”.
Per i prossimi tre anni, dunque, su cosa la vedremo impegnarsi?
“Sviluppo delle province e internazionalizzazione. Mi spiego meglio: mentre contiamo le immatricolazioni del 90% dei giovani residenti a Palermo e provincia, ad Agrigento e Caltanissetta ci fermiamo al di sotto del 50% e questo non va bene. Fino ad ora, infatti, nelle sedi decentrate abbiamo proposto un’offerta formativa complementare, quindi corsi che non si trovano a Palermo. Non può più essere così, è arrivato il tempo di consentire anche agli studenti che risiedono fuori di studiare Medicina, come Ingegneria o Economia lì dove vivono”.
E sul fronte internazionalizzazione, invece?
“L’obiettivo è sfruttare il brand Sicilia per far sì che i giovani da fuori scelgano di venire qui a studiare ciò in cui il nostro territorio è forte; penso, dunque, al turismo, ai beni culturali e all’agroalimentare. Una logica nuova, insomma”.
Proprio sul fronte immatricolazioni, però, l’ultimo rapporto del Censis racconta di una Palermo che “perde” studenti, così come il titolo di “mega ateneo”.
“Occorre un chiarimento: il Censis ha riconosciuto che il dato rilevato per conteggiare il numero degli iscritti non risaliva allo scorso maggio (quando erano 40.500), ma al luglio precedente (39.700). Ad ogni modo, resta un unico dato: Unipa è quinta su 11 nella classifica dei “mega” atenei, mentre è settima su 16 se posta tra i “grandi”. Siamo sul lato sinistra della classifica e Palermo non ci stava dal periodo d’oro dell’epoca Zamparini”.