"Non mi sono mai pianto addosso | Ora racconto la mia speranza" - Live Sicilia

“Non mi sono mai pianto addosso | Ora racconto la mia speranza”

La cultura del piagnisteo. Giorgio Ciaccio spiega la sua battaglia contro il male. La battaglia di tutti.

L'intervista
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3 min di lettura

Giorgio ha il viso magro e luminoso di un prigioniero appena uscito da un campo di concentramento. Il male che lo aveva stretto a sé era crudele come il reticolato di Auschwitz.

Giorgio Ciaccio – onorevole grillino all’Ars, marito e papà innamorato – ha sconfitto il suo drago. E ha raccontato la sua storia qui. Ora sorride, mentre si gode il sole, l’aria e il cielo di un pomeriggio in via Rosolino Pilo, all’ombra della redazione. Con tenerezza, passa in rassegna le foto di Veronica, sua moglie, e del bambino che lo attende a casa, compulsando il cellulare con la frenesia di una liberazione. Il suo corpo è guarito, per quei magici sentieri di caparbietà e fortuna, che, alle volte, accompagnano la rinascita. Il suo spirito è sempre rimasto forte, perfino nelle giornate buie. Così, Giorgio sorride, come se fosse il primo sorriso di un nuovo venuto al mondo.

E’ passato a trovarci, quando lo abbiamo chiamato per una chiacchierata sulla cultura del piagnisteo, il nucleo di una trama di interviste tematiche su LiveSicilia.it. Il piagnisteo. La lacrimuccia. L’alibi dello scoramento. Il freno. Dall’altro lato, il coraggio di partire o di ripartire, di scommettere o di scommettere ancora. L’eroismo di decidere che devi bastare a te stesso, andare avanti con ogni tempo. Un ragazzo che ha battuto il cancro, a riguardo, deve avere imparato qualcosa.

Ecco la domanda iniziale che non cambia mai: che cos’è il piagnisteo?
“Una condizione di debolezza. Ti aggrappi a qualcosa o a qualcuno perché vuoi essere consolato. Non cerchi né soluzione, né tenacia. Chiedi una pacca sulla spalla, mentre non fai niente per migliorare la tua vita”.

Solo questo?
“E’ soprattutto fragilità. Il bisogno di scivolare nella commiserazione tua e di chi ti sta intorno, per non sopportare le responsabilità della tua esistenza, delle tue scelte, degli eventi che capitano e modificano il corso delle cose”.

Noi siciliani siamo un popolo di piagnoni?
“Moltissimo, perché non crediamo in noi stessi, così, per bilanciare, avvertiamo la necessità di non credere in niente. E allora diciamo che tutto va male, ma non proviamo a sovvertire quel tutto. E magari gridiamo, battiamo i pugni, accontentandoci, immancabilmente, di una giustificazione”.

Tu hai pianto, sulla strada della tua malattia?
“Certo, per fortuna sono umano. Mio figlio è nato qualche settimana dopo la diagnosi. All’inizio non ho detto niente a mia moglie, non volevo sconvolgerla durante la gravidanza. Le ho confessato tutto dopo. Ci siamo abbracciati, abbiamo pianto, l’uno tra le braccia dell’altra, ed è stato bellissimo”.

Che differenza c’è tra pianti e piagnistei?
“Le lacrime del pianto ti danno forza. Le altre te la tolgono”.

Che cos’altro ti ha dato forza?
“L’affetto delle persone. L’ho ricevuto da tanti amici e avversari politici con cui avevo polemizzato aspramente. E da tanti che, semplicemente, hanno seguito la mia vicenda”.

Che hai condiviso sui social. Perché?
“Volevo diffondere speranza e umanità. Nei reparti degli ospedali ho visto cose che non dimenticherò mai più e che meritano attenzione, ascolto. Invece, talvolta, chi è malato si rinchiude nel silenzio, per vergogna, per paura, per non mostrarsi debole, per non ricevere pietà….”.

Per non restare imprigionato nella cella d’isolamento delle frasi fatte…
“Esatto, ci sono quelli che non sanno cosa dire e perciò ripetono, in perfetta buonafede, luoghi comuni. E vorrebbero invitarti, con quella rinnovata buonafede, all’autocommiserazione, al piagnisteo, appunto. E’ lì che devi resistere e affrontare gli sviluppi con serenità”.

Tu come ci sei riuscito?
“Ci sono una donna e un bambino che amo nella mia esistenza. Loro, e non solo loro, sono stati fondamentali. Ma è stato importante scegliere, tra me e me, di andare avanti positivamente, nonostante le difficoltà. E ho avuto un’altra grande fortuna: non sono mai rimasto solo. Non volevo essere confortato. Volevo reagire. Da noi si dice: vuoi stare bene, lamentati. Io non mi sono lamentato, anche se stavo male”.

L’ultima domanda somiglia un po’ a certe stupide frasi di circostanza.
“Mi stai chiedendo se ho paura, giusto? Se temo una ricaduta?”.

Solo questo: hai paura?
“No, mi godo ogni respiro delle persone che amo, non sono mai stato tanto attaccato alla vita. E ho una certezza: vada come vada, non mi piangerò mai addosso”.

 


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