PALERMO – Il gup di Palermo Lirio Conti ha condannato per associazione mafiosa, estorsione e traffico di droga 9 tra boss e gregari dei clan mafiosi di Carini e Torretta.
Il processo, che si è svolto in abbreviato, nasce da un’inchiesta coordinata dai pm della Dda di Palermo Amelia Luise e Daniele Sansone. Tre gli assolti tra i quali il capomafia Sandro Lo Piccolo, boss di San Lorenzo. La pena più severa, 17 anni e 9 mesi, è stata inflitta al capo della cosca di Torretta, Antonino Di Maggio. Salvatore Amato ha avuto 10 anni e 3 mesi anni, 14 Vincenzo Passafiume, 4 anni e 4 mesi Fabio Daricca, 8 anni Giuseppe Daricca, 6 Antonio Vaccarella, 3 Salvatore Lo Bianco, 8 Alessandro Bono e 3 Giuseppe Patti. Oltre a Lo Piccolo sonno stati assolti Paolo La Manna e Giuseppe Di Stefano. Il gup ha condannato gli imputati a risarcire il Centro Pio La Torre e Sicindustria, costituiti parte civile.
Gli assolti erano difesi dagli avvocati Francesco Lo Nigro (il più giovane fra i legali del processo), Alessandro Campo e Camillo Traina.
Dall’inchiesta emerse il ruolo di vertice di Di Maggio, professione ufficiale fornaio. Il boss poteva contare su un braccio destro fidato: Vincenzo Passafiume, autista e fac totum del padrino con una sfilza di precedenti per furto, ricettazione, porto d’armi, rapina, estorsione, sequestro di persona, truffa e associazione mafiosa. Era lui che gestiva gli affari della cosca. A imporre il era Salvatore Amato.
Non c’era attività commerciale o impresa che sfuggiva al racket. I cellulari intercettati e le cimici piazzate nelle auto degli indagati permisero di ricostruire decine di richieste di estorsioni, da poche migliaia fino a centinaia di migliaia di euro, nei confronti di catene di negozi di abbigliamento e aziende edili che stavano costruendo a Carini, Capaci e Isola delle Femmine.
cosca era impegnata anche nel traffico di droga: cocaina e hashish per lo più. Nella zona controllata dal clan sono stati eseguiti dalla squadra mobile i più grossi sequestri di stupefacenti degli ultimi anni. Il nome di Antonino Di Maggio era già venuto fuori tre anni fa nel corso di un’inchiesta che aveva fatto scattare le manette per un insospettabile titolare di un’agenzia di pompe funebri, Alessandro Bono accusato di gestire, per conto della “famiglia”, un grosso traffico di droga internazionale con il Sudamerica.