Confesserebbe di avere ucciso il sedicenne Giuseppe Di Dio, che non era il suo bersaglio, fornendo però una ricostruzione che potrebbe scagionare il padre e il fratello per l’omicidio avvenuto a Capizzi. Il racconto ancora non ufficiale (non è stato messo a verbale ma ha parlato con il suo legale) di Giacomo Frasconà dovrà essere riscontrato innanzitutto dall’analisi delle immagini delle telecamere.
Padre e figli in stato di fermo
Il ventenne è accusato di avere avere assassinato il ragazzo nel piccolo paese in provincia di Messina, ma bisogna accertare il ruolo del padre Antonino e del fratello Mario, 48 e 18 anni. Sono arrivati insieme, a bordo di una Fiat Punto, davanti al bar in via Roma. Padre e fratello sapevano cosa stava per fare Giacomo e lo hanno accompagnato nella missione di morte oppure lo ignoravano e sono andati via prima che scoppiasse il finimondo? Tutti e tre sono stati fermati dalla Procura di Enna.
Capizzi, una “lite prima dell’omicidio”
Giacomo Frasconà racconta un antefatto e anche su questo i carabinieri dovranno trovare riscontri. All’incirca un’ora prima del delitto, commesso alle 22:30, sostiene di avere incontrato il bersaglio della sua collera. Si tratta di un coetaneo con cui c’erano state delle liti in passato, tanto che Frasconà era stato denunciato per minacce.
La sera dell’omicidio sarebbero arrivati alle mani davanti ad un altro bar e il giovane fermato avrebbe avuto la peggio. A quel punto avrebbe chiamato il padre per farsi soccorrere. Prima che il genitore arrivasse in auto con il fratello, Giacomo Frasconà racconta di avere recuperato la pistola, una calibro 6.35, che nascondeva in un rudere. Sostiene di averla comprata a Catania qualche tempo fa, ma non aggiunge dettagli. Se ne andava in giro armato per guadagnarsi il rispetto della gente.
Durante il tragitto verso casa avrebbe chiesto al padre di fermarsi al bar in via Roma. Voleva bere una birra. Il padre ha tentato invano di dissuaderlo, ma alla fine sarebbe andato via assieme al fratello.
Ed è ora che Giacomo Frasconà avrebbe iniziato la caccia al giovane con cui aveva litigato poco prima. Urlava il suo nome e ha iniziato a sparare. Un proiettile ha colpito al collo il povero Giuseppe Di Dio, vittima innocente che stava trascorrendo la serata con gli amici. Esplosi i colpi mortali è scappato. Una volta giunto a casa avrebbe detto ai familiari che stavano venendo a prenderlo per ciò che aveva commesso.
Il “12 ottobre abbiamo avuto una lite, hanno preso la mia auto a pedate. Avevano questa fissazione che mi dovevano sparare”, così ha raccontato al Tg1 il vero bersaglio. La lite era scoppiata per futili motivi, per qualche parola di troppo pronunciata in macchina al rientro da una sagra di paese.
Gli episodi di violenza
I Frasconà sono conosciuti per gli atteggiamenti violenti. Avrebbero iniziato a reagire nel peggiore dei modi agli sfottò di cui sarebbero vittime per anni. Mario, appena diciottenne, ha scontato 12 mesi, di cui dieci ai domiciliari, per una serie di reati. I più gravi sono le minacce con un coltello ad un cliente che non voleva saldare il conto per alcuni lavori – i Frasconà lavorano come fabbri – e l’incendio del portone della caserma dei carabinieri.
Giacomo in passato ha danneggiato alcune macchine e tentato di sfondare con una mazza la vetrata dell’ufficio postale dopo essersi messo addosso i sacchi della spazzatura al posto dei vestiti. La questura aveva chiesto di applicargli il Daspo urbano per impedirgli di frequentare bar e locali pubblici. L’iter non era stato completato.
La richiesta di convalida del fermo, firmata dal procuratore di Enna, Ennio Petrigni, passerà alla valutazione del giudice per le indagini preliminari davanti al quale i tre indagati si presenteranno per l’interrogatorio, accompagnati dall’avvocato Felice Lo Furno. È in questa fase che il racconto di Giacomo Frasconà dovrà essere messo nero su bianco.

