Asse Porta Nuova-Brancaccio | Omicidio Di Giacomo, nuova pista - Live Sicilia

Asse Porta Nuova-Brancaccio | Omicidio Di Giacomo, nuova pista

Sergio Giacalone, uno dei due arrestati in piazza Lolli, in passato avrebbe avuto rapporti con il clan mafioso di Brancaccio. Spuntano contatti fra l'omicidio di Francesco Nangano e il delitto della Zisa. E sullo sfondo, le note riservate dei servizi segreti.

PALERMO – C’è l’asse fra due potenti mandamenti dietro l’omicidio di Giuseppe Di Giacomo? È l’ultima inquietante pista imboccata dagli investigatori che indagano sul delitto della Zisa. Una pista che tira in ballo un altro omicidio, quello di Francesco Nangano.

Le indagini muovono dagli arresti di piazza Lolli. Di Fabio Pispicia si è già scritto che in passato ha rimediato una condanna per droga e che si tratta del fratello di Salvatore Pispicia, personaggio che conta nella mafia di Porta nuova, oggi in carcere e cognato di Tommaso Lo Presti, uno degli scarcerati eccellenti degli ultimi tempi. Chi è, invece, Sergio Giacalone? Ufficialmente fa il meccanico ed è incensurato, ma scavando nel suo recente passato emergono delle ombre. Che qualche anno fa non furono sufficienti a processarlo – arrivò, infatti, un’archiviazione – ma che ora gli investigatori tornano ad analizzare. Si scopre, infatti, che la polizia nel 2005 lo aveva tenuto sotto controllo. Ascoltavano le sue conversazioni telefoniche, seguivano i suoi spostamenti, e la sua officina di via Mariano Smiriglio era imbottita di microspie. È la stessa officina meccanica poco distante dalla quale Giacalone è stato fermato assieme a Pispicia. I poliziotti li hanno visti scendere da una Fiat Uno verde risultata rubata ad ottobre scorso.

Il 28 gennaio 2008, Andrea Bonaccorso, pentito del clan di Brancaccio, depose davanti all’allora procuratore aggiunto di Palermo, Giuseppe Pignatone, al sostituto Roberta Buzzolani e al compianto capo della Catturandi della Squadra mobile, Mario Bignone. “Allora, questo si chiama Sergio, però non so il cognome, fa il meccanico – rispose mentre gli mostrano la foto di Giacalone -, lui diciamo che è stato sempre vicino a loro però per ambito tipo familiare, tipo per problemi famigliari e loro se lo sono trovati sempre”. “Loro sarebbero?”, chiedevano i pm: “Gli Adamo, lui e suo fratello Gianni, però tipo cose per cose familiari. C’ha un’officina che questa officina prima era di Andrea Adamo che è a Piazza Virgilio alle spalle, però è venuto qualche volta da me per un appuntamento che mi voleva parlare Gianni per cose da dire a suo fratello però… và! Lui non… a me non mi risulta di essere… ci mettevamo d’accordo per dove fare i passaggi per portarmi a sua moglie e portarla a casa da lui, quando lui era latitante (sta parlando di Andrea Adamo (ndr)”.

Qualche mese dopo un altro pubblico ministero di Palermo, Maurizio De Lucia, oggi alla Direzione nazionale antimafia, chiese chiarimenti a Bonaccorso che su Giacalone aggiungeva: “Lo conosco da tanto tempo però, diciamo, frequenza ce l’ho avuta negli ultimi mesi, che Adamo era latitante, perché mi veniva a cercare a me o la stessa cosa se io cercavo a Gianni per fargli avere un biglietto, gli dicevo: ‘Digli a Gianni che si fa vedere’. Una volta mi hanno rintracciato di urgenza perché doveva fare il rito abbreviato nel processo Gotha e quindi doveva firmare delle carte. E lui questo è venuto a cercarmi di urgenza, Giacalone, perché l’avvocato gli aveva detto che se i fogli non li firmava con l’autentica della firma originale, il rito abbreviato non veniva accettato, nel processo Gotha”. Dunque, il nome di Giacalone, saltava fuori in una delle più importanti operazioni antimafia degli ultimi anni a Palermo. Nell’agosto del 2005 i poliziotti filmarono l’arrivo nell’officina di via Smiriglio di Andrea Adamo, mafioso di Brancaccio.

Tutto ciò non bastò, però, per chiedere di processare Sergio Giacalone. Che da due settimane si trova in carcere. Gli viene contestata, assieme a Pispicia, la detenzione illegale delle armi – una calibro 38 e una 7,65 – trovate nella Fiat Uno. Cosa ci facevano in piazza Lolli a pochi giorni dall’omicidio di Di Giacomo? Progettavano una rapina oppure qualcosa di più? Volevano completare il lavoro iniziato con il primo delitto? Stavano portando le armi da qualche parte, magari nella stessa officina di via Smiriglio? Interrogativi, solo interrogativi, a cui devono dare una risposta i pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia di Palermo assieme a polizia e carabinieri. Non è tutto, perché c’è un altro episodio che viene analizzato a fondo. Il 17 febbraio 2013 in via Messina Marine, mandamento di Brancaccio, i killer ammazzarono Francesco Nangano. In una nota dei servizi segreti, grazie a una fonte confidenziale, erano stati segnalati i contrasti fra Nangano e alcuni boss. In quella stessa nota c’era pure il nome di Alessandro D’Ambrogio, indicato come l’ultimo reggente del mandamento di Porta Nuova. Sembrerebbe che D’Ambrogio si fosse attivato per difendere Nangano. Neppure lui, però, sarebbe riuscito a salvargli la vita. Cosa lo aveva spinto ad intervenire? Affari e vecchie amicizie, hanno sempre sussurrato gli investigatori. Un’altra fonte confidenziale avrebbe raccontato, infatti, di avere ricevuto da Nangano l’incarico di trovare una casa tranquilla dove fare trascorrere ad un amico il Natale 2009. Chi era? L’allora latitante Gianni Nicchi che i primi giorni di quel dicembre finì in manette.

Chi ha ammazzato Nangano, si disse allora e viene ripetuto adesso, aveva voluto dare una dimostrazione di forza a Brancaccio. La stessa dimostrazione di forza che qualcun altro ha dato pochi giorni fa in un’altra parte della città. Alla Zisa, mandamento di Porta Nuova. Ed ecco sul piatto un’altra ipotesi: i due mandamenti potrebbero essersi scambiati i killer. Alla Zisa hanno sparato quelli di Brancaccio. In via Messina Marine, quelli di Porta Nuova.


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