Palermo 2022, Miceli: "Primarie di coalizione per allargare la base" - Live Sicilia

Palermo 2022, Miceli: “Primarie di coalizione per allargare la base”

Il deputato dem non vuole rottamare la stagione di Orlando.

PALERMO – L’intesa con i Cinquestelle “ogni giorno più solida e oserei dire politicamente ‘divertente’, anche alla luce dell’ultimo vertice”; la logica conseguenza dell’attualità della formula zingarettiana di centrosinistra – “visione condivisibile anche se oggi, a Roma, in un quadro di larghe intese” dell’asse in questione. Ancora, “primarie di coalizione” svelte e “tali da darci un nome per Palazzo delle Aquile entro febbraio”. E, esplicitamente, salvate-il-soldato-Leoluca, perché “non possiamo non porci in continuità con una visione che sì, si è inceppata sul piano dei fatti, ma che deve continuare a cambiare Palermo”. Leggasi, recupero del voto orlandiano fedelissimo, iniezione di fiducia ai disillusi, apertura a Giambrone e ai suoi, all’orlandismo per ora fino alla cintola sotto la frana provocata dal dissesto finanziario. Carmelo Miceli, deputato del Pd, porta avanti la barca delle trattative, e l’arca con il germe dell’alleanza cittadina con il Movimento 5 stelle, ma non risparmia delucidazioni sul grande nodo delle autonomie locali, dei Comuni al collasso, delle soluzioni per ripartire senza fallire “o, peggio, continuare a illudersi di sopravvivere grazie non al super indebitamento, ma al super accreditamento soltanto nominale dei crediti di dubbia esigibilità, che tolgono risorse, progettualità e rischiano di far naufragare anche il Pnrr”.

Onorevole Miceli, eccovi a braccetto con i Cinquestelle a Palermo: dove porta il sentiero appena tracciato?
“Intanto, su una strada totalmente opposta a quella che sta percorrendo il centrodestra, diviso in rivoli e rivoletti mentre noi troviamo ogni ora di più le ragioni dello stare insieme. Il primo passo appena ufficializzato con il vertice è nel segno dell’unione di tutto ciò che non si rassegna al sovranismo, alla destra becera, di chi non vuole riportare Palermo ai tempi nefasti della guida di centrodestra. Lo scopo è allargare la base, la partecipazione, a chi si ritrova in questo obiettivo”.

Così il Pd esce dal sonno, meglio dalla  comprensibile pausa di riflessione iniziata con l’inchiesta sui conti del Comune. Orlando è comunque un iscritto, a lui non avete fatto mancare sostegno. Come conciliare con le uscite a caldo di esponenti Cinquestelle che annunciavano dimissioni di massa per farlo cadere se non si fosse dimesso da sé? L’accordo con voi fa pensare a scelte diverse…

“Separiamo gli ambiti: sulla vicenda giudiziaria esprimo naturalmente il più franco garantismo, su quella politico-amministrativa il dato che c’è oggi è l’ostruzionismo delle opposizioni di centrodestra sulle attività del consiglio comunale, segnatamente sul Piano triennale delle opere pubbliche e sul piano di riequilibrio, che non può essere completato per ragioni che non dipendono soltanto da Orlando. Bloccare il Piano delle opere pubbliche è strumento surrettizio per evitare che il consiglio sia chiamato ad assumersi delle responsabilità. Il centrodestra manifesta paura di quelle responsabilità e grande spregiudicatezza nel non prendersele, lasciando la città in agonia. Spero che i cittadini se ne stiano ben rendendo conto in queste ore”.

Ma cosa è successo all’orlandismo? Perché a migliaia di cittadini in buona fede pare veramente che spesso non si muova nulla, che sia difficile persino vuotare un cestino dei rifiuti? E gli orlandiani adesso defilati, fanno parte del vostro progetto?
“Quella di Orlando rispetto a Palermo capitale della cultura, del mare, che dialoga con l’Africa culturalmente ed economicamente, è visione che va salvata e custodita. Quelle energie vanno recuperate e attratte, ne abbiamo veramente bisogno. Nessuno nega le contraddizioni e i problemi: è come se fosse venuto meno un patto sociale, se chi suggeriva la visione, forse anche per problemi di comunicazione sopravvenuti, non riesca più a raccontarla a chi doveva metterla in atto. E un inciso: è difficile mettere in campo visioni quando quasi non hai dirigenti tecnici negli uffici…”.

Dunque, su questo la sintesi è arrivata. Resterete in consiglio, voi e i Cinquestelle, a provare ad approvare queste cruciali delibere…

“Assolutamente, confermo. Ma passiamo un momento a parlare di Orlando in quanto presidente dell’Anci, che ha ripetutamente evidenziato lo stato comatoso dei Comuni, in particolare quelli del Mezzogiorno”.

E siamo alla madre di tutte le questioni, che contempla il suo ruolo nel ridiscutere insieme con il governo regionale i criteri di ripartizione dei trasferimenti statali. Quali le iniziative?

“Uno dei primissimi emendamenti da me presentati alla Camera, guarda caso, riguardava proprio la regolamentazione del fondo crediti di dubbia esigibilità. Una battaglia che è tutt’altro che finita e che va guardata in un’ottica complessiva e analitica: da un lato servono provvedimenti di carattere emergenziale già a partire dalla prossima Finanziaria, che sono però condizione necessaria e non sufficiente. Subito  presenterò una interrogazione al ministro dell’Interno Lamorgese in question time, e poi ancora con un ordine del giorno sulla proposta di legge Pella che andrà in discussione a giorni, e ancora in legge di bilancio”.

Praticamente, che fare?

“Intanto, agire con il nostro governo nazionale come esso stesso ha fatto con l’Europa, procedendo per scostamenti di bilancio e ottenendo così una misura di flessibilità che consentisse di sforare negli ultimi 18 mesi di quasi 200 miliardi di euro rispetto alle rigide logiche di armonizzazione. Per la prima volta, sotto la pressione del Covid, l’Europa si è scoperta unione di solidarietà e dei popoli: dobbiamo immaginare e attuare la stessa cosa nei rapporti dei Comuni con il governo nazionale. Una fase di flessibilità che dia respiro e sia al contempo ancorata a una revisione del testo unico delle autonomie locali che renda stabili i progressi”.

Fin qui, le pezze. Ma gli assessori Armao e Zambuto stanno portando avanti un discorso più radicale sui criteri di ripartizione.

“Primo: creare le condizioni per non costringere i Comuni a dichiarare il dissesto nell’immediato. Questo si fa con due norme precise: proroga per i termini di presentazione dei bilanci di previsione al 31 dicembre; riduzione del fondo credito di dubbia esigibilità, se non nella misura del 50 per cento come vuole l’Anci, almeno in una misura progressiva che arrivi al 100 per 100 nel triennio. Seconda fase: intervento di carattere strutturale che si muova intanto sul livello costituzionale del riconoscimento della condizione di insularità, un gap che rende la Sicilia meritevole di una normativa che non è di favore ma perequativa; e poi sul livello dell’autonomia differenziata, con la revisione del principio della spesa storica che determina i trasferimenti in base alla domanda di servizi calcolata sulla base dei dati passati, e dei Lef, i livelli essenziali delle prestazioni per la famiglia. Bisogna continuare sul solco tracciato dal governo Conte 2 sulla materia. Ma non basta ancora”.

Che altro?

“Serve una riforma rapida del Tuel, il testo unico degli Enti locali, che affronti finalmente il nodo della mancata riscossione dei tributi la quale, pur essendo di competenza di enti diversi dai Comuni, su di essi scarica tutto il proprio peso. Esempio di scuola, Riscossione Sicilia che porta a casa il 5% dei tributi dovuti mentre i Comuni pagano in concreto le mancate entrate. Tengo a precisarlo: le regole sull’armonizzazione dei bilanci sono moralmente ottime e tecnicamente ineccepibili. Tuttavia, se chi amministra la cosa pubblica deve farlo con la responsabilità del buon padre di famiglia non potendo spendere più di quanto conta di incassare con certezza, la conseguenza è la scarsità di risorse. Sono norme subentrate in un momento di gravissimo affanno con gli strascichi di tempi nei quali i bilanci venivano redatti in altro modo, con in più l’impossibilità di riscuotere, come mostra la vicenda di quei trecento sindaci che hanno anticipato la possibilità di dimettersi. Dobbiamo immaginare, inventarci, l’estensione dell’istituto ai Comuni, dopo che il dl 118 l’ha prevista per le aziende private. La soluzione non può essere il dissesto oltre il dissesto. Io credo che lo Stato debba farsi tutore anche, per esempio, per i vuoti progettuali come quelli esplosi sul Pnrr in agricoltura: se ci sono difficoltà, si arrivi pure ai mezzi estremi, come i commissariamenti. Ma un principio va salvato: non si possono perdere fondi su progetti già presentati e magari anche parzialmente finanziati con altre fonti. Quei soldi devono restare alla Sicilia”. 


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI