PALERMO – Non c’è ancora una soluzione definitiva alla vertenza Almaviva Contact Palermo, e così le oltre 2.500 famiglie coinvolte si preparano a un Natale ‘nero’. L’incontro più recente, avvenuto lunedì al ministero del Lavoro, di fatto non ha che confermato quali siano i veri nodi da sciogliere: il call center del capoluogo ha bisogno di stabilità occupazionale e continua a pagare caro il taglio radicale dei volumi di attività da parte della committenza. Ultimamente lo ha ribadito più volte anche la stessa Almaviva, secondo cui “la definizione delle soluzioni impone il concorso necessario e urgente dei principali committenti”. Dunque dipendenti, azienda e istituzioni sembrano dalla stessa parte, ma finora non è bastato.
Recentemente il governo ha preso una posizione, sottoscrivendo un accordo di cassa integrazione in deroga per l’intero sito. I 2.552 dipendenti di Almaviva Palermo potranno contare sull’ammortizzatore sociale fino al 31 Marzo 2020, con una riduzione verticale dell’orario di lavoro fino a una percentuale massima a consuntivo del 35 per cento. Un atto che scongiura i 1.600 esuberi paventati dall’azienda nei mesi scorsi, ma comunque definito dai sindacati Fistel Cisl, Slc Cgil, Ugl Tlc e Uilcom Uil “una misura tampone” che non risolve a monte la crisi. Per questo il ministero del Lavoro ha annunciato che si confronterà coi committenti di Almaviva, Tim e Wind Tre in testa, cercando soluzioni concrete a una vertenza ormai ‘storica’.
In attesa della prossima convocazione, in programma martedì mattina, i sindacati continuano a concentrarsi su punti fermi ormai noti. Da tempo infatti sigle e dipendenti sostengono che la rinascita dei call center debba coinvolgere l’intero settore, e non solo Almaviva, partendo da quattro aspetti fondamentali: lotta alla delocalizzazione delle attività all’estero, vigilanza del governo sui contratti fra aziende e committenti, regolamentazione delle tariffe di lavoro e caccia ai ‘sottoscala’ irregolari che impiegano forza lavoro sottopagata.
“La notizia è che non ci sono risvolti – commenta Maurizio Rosso, segretario generale Slc Cgil –. Il declino del settore è ben visibile e ancora, di fronte a un evidente ridimensionamento delle attività dei committenti, il governo non prende in mano la situazione per far rispettare quelle poche regole essenziali. In tutto ciò è coinvolta anche la Regione Siciliana – aggiunge –, che se n’è lavata le mani e ora non dice una parola nonostante conosca perfettamente le circostanze. È un’agonia devastante, e noi lanciamo ancora una volta l’allarme: per salvare il settore call center serve al più presto un progetto politico e industriale. Crediamo che basterebbero 100 milioni per un fondo strutturale dedicato al settore – conclude –, e siamo certi che il risanamento aprirebbe praterie occupazionali”.
“Già dieci anni fa Ugl Telecomunicazioni anticipava i disastri di oggi – fa presente il segretario regionale del sindacato, Claudio Marchesini – con la manifestazione più grande d’Italia contro le delocalizzazioni selvagge, organizzata a Palermo. Il governo deve fare due cose: o riesce a riportare ai livelli precedenti tutti i volumi dei maggiori committenti, come Tim e Wind Tre, o mette in campo politiche di riconversione dei lavoratori. Perché così com’è, il settore dei call center non ha più futuro”.
Ridimensionano gli incontri romani anche il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, e l’assessore al Lavoro, Giovanna Marano, che sull’ultimo tavolo di lunedì osservano: “non ha ancora prodotto una soluzione necessaria a salvaguardare i livelli occupazionali e il futuro di Almaviva a Palermo. È comunque importante – precisano – che tutte le parti continuino un lavoro comune. Auspichiamo che il governo nazionale possa entro Natale portare al tavolo un intervento strutturale, efficace al rientro in Italia di significative commesse, per assicurare un futuro con meno ansie e preoccupazioni”.
Dal suo canto Almaviva, una presenza ormai ventennale a Palermo, non si tira indietro e si dice disponibile a riportare in Italia le attività attualmente svolte all’estero, “purché, come è comprensibile, a queste venga riconosciuta la corretta remunerazione a garanzia dell’equilibrio economico – fa presente l’azienda – nel rispetto del costo del lavoro stabilito dal ministero competente”. Dunque la partita coi committenti rimane in mano al governo, sempre più faccia a faccia con una crisi che rischia di estendersi a macchia d’olio e pregiudicare un settore da circa 20 mila dipendenti solo in Sicilia.