Palermo, i corleonesi e gli americani: "Dobbiamo stare in pace”

I corleonesi e gli americani: “Dobbiamo stare in pace”

Tommaso Inzerillo e Michele Micalizzi
Svelato un incontro riservato fra Michele Micalizzi e Tommaso Inzerillo
PALERMO-IL RETROSCENA
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PALERMO – La stagione corleonese sopravvive nella testa dei mafiosi perdenti. Nei boss costretti a scappare in America la sconfitta brucia ancora oggi che di anni dal loro rientro a Palermo ne sono passati parecchi. La ferita è aperta, ma è servita a capire che “qua noi, dobbiamo stare in pace”. Lo diceva Tommaso Inzerillo, boss di Passo di Rigano, dialogando con Michele Micalizzi di Tommaso Natale. Dopo quella chiacchierata sono finiti entrambi in carcere.

Per ultimo Micalizzi, tra gli arrestati nel blitz dei carabinieri di ieri. In realtà in cella c’era già finito pochi mesi fa per avere orchestrato un grande traffico di droga. Un ritorno al passato il suo, visto che negli anni Ottanta era stato uno dei maggiori importatori di eroina thailandese comprata dal grossista asiatico Koh Bak Kin.

Micalizzi è stato scarcerato dopo 25 anni di carcere il 12 agosto 2015. Non ha rescisso gli antichi legami con Cosa Nostra dopo un periodo vissuto a Firenze. La mattina dell’8 dicembre 2017 ci fu incontro fra Micalizzi, il figlio Giuseppe e Inzerillo in una casa che quest’ultimo aveva a disposizione in via Mogadiscio. “Mi sono liberato di tutto”, disse il boss di Tommaso Natale subito dopo i saluti. “Ascoltano? Sicuro sei?”, la sua prima preoccupazione erano le microspie. Inzerillo ne era certo (“al novantanove per cento…”), ma evidentemente riteneva quell’immobile sicuro, al riparo dalle intercettazioni. Si sbagliava.

Fosse dipeso da Micalizzi avrebbe fatto come “lo zio Pietrino Davì in America”, dove “parlavano di tutto all’infuori di noialtri… tanto gli americani sono sofisticati, entravano nei negozi, si spogliavano, si compravano i vestiti nuovi, scarpe nuove, perché glieli infilavano pure nei tacchi delle scarpe… i vestiti li arrotolavano, li buttavano dentro i sacchi e li buttavano e se ne andavano in campagna a parlare”. “Ma perché sono più furbi di noi, non lo vedi”, concordava Inzerillo nel frattempo però parlava a ruota libera.

È il giorno in cui Micalizzi propose a Inzerillo di partecipare ad una truffa milionaria in danno dell’Unione Europea. Oarlava di un professionista non ancora identificato che sapeva come attingere ai finanziamenti per l’agricoltura. C’erano dei bandi che scadevano a breve con finanziamenti “all’ottanta per cento”. Con “una pratica da dieci milioni, otto nove milioni sono a fondo perduto”. C’è materia per un approfondimento da parte degli investigatori coordinati dai pubblici ministeri Giovanni Antoci e Felice De Benedittis.

Poi tornarono a parlare della guerra di mafia mai dimenticata. “Ora con questa morte”, quella di Totò Riina, cadeva l’editto per i padrini palermitani: o emigravano in America o sarebbero stati sterminati come gli altri. Inzerillo attualizzava la vicenda, visto che “alcuni se ne stanno andando in America, altri, per dirti che qua c’è, siamo tutti bloccati”. Però “c’è stata una promessa”, da parte di Settimo Mineo, capomafia di Pagliarelli che un anno dopo, nel 2018, avrebbe presieduto la prima riunione della cupola del dopo Riina. La promessa era che il passato andava sepolto con Riina, tutti gli americani potevano tornare.

Micalizzi era pronto ad accoglierli a braccia aperte: “Là ci siamo… quando è, qualunque cosa”. Era pronto a tutto anche a fornirgli le armi dell’arsenale della sua cosca. “Se hai di bisogno eventualmente attrezzattura… noi abbiamo”. Inzerillo aveva altri propositi: “Ma qua noi, dobbiamo stare in pace”. Inzerillo si allineò: “Non potrebbe mai più succedere più e non deve succedere più”. Inzerillo metteva una pietra tombale sui qualsiasi idea violenta: “No. Non deve succedere”. Meglio concentrarsi sugli affari e sui soldi.


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