Palermo, bimbo morto e giallo della cartella clinica: sanitari assolti

Il bimbo morto e il giallo della cartella clinica, sanitari assolti

La cinica Candela di Palermo
Nessuna responsabilità da parte dei sanitari della "Candela"

PALERMO – Assoluzione confermata anche in appello. A fare ricorso era stata soltanto la parte civile. Non fu falsificata la cartella sanitaria dopo la morte di un neonato alla clinica Candela.

Assolte le ginecologhe Carmelina Simonaro e Alessandra Cerrito (difese dagli avvocati Sergio e Chiara Monaco, e Salvatore Forello), e l’infermiera Giovanna Pollara (avvocati Sergio e Chiara Monaco).

La casa di cura (assistita dall’avvocato Mario Monaco) e l’assessorato regionale alla Sanità (la clinica è convenzionata con il servizio sanitario) erano state indicati come responsabili civili. Con l’assoluzione di appello viene confermato che non devono risarcire alcun danno.

Vicenda giudiziaria tortuosa. Per quattro volte i pubblici ministeri chiesero l’archiviazione dell’inchiesta, ma la Procura generale avoco a sé il fascicolo.

Il 26 settembre del 2010 una donna partorì un bimbo senza vita. Era il suo primo figlio. Nella denuncia presentata assieme al marito ipotizzarono che praticando il parto cesareo il piccolo si sarebbe potuto salvare.

La Procura aveva aperto un’inchiesta per omicidio colposo e disposto il sequestro della cartella clinica. Il documento era in formato digitale e agli inquirenti fu fornita una copia cartacea. Ed ecco l’accusa che non ha retto: la cartella clinica sarebbe stata modificata dopo il sequestro.

Da qui l’ipotesi di falso in atto pubblico che restò in piedi dopo l’archiviazione dell’ipotesi di omicidio colposo. Le difese hanno sempre sostenuto la correttezza dell’operato delle imputate. La cartella clinica era stata sequestrata il 26 settembre del 2010, ma la madre del bambino era rimasta in ospedale altri due giorni nel corso dei quali erano stati aggiunti dei dati. Era normale che fosse così e non c’era alcuna intenzione di nascondere elementi importanti agli investigatori.

Nel 2018 la Procura generale chiese il rinvio a giudizio, deciso nel 2021. Nel 2023 l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato, ora confermata dalla seconda sezione della Corte di appello.


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