Esplode il caso Messineo | Tornano i veleni - Live Sicilia

Esplode il caso Messineo | Tornano i veleni

Messineo e Ingroia

Torna la stagione dei veleni a Palazzo di Giustizia.

PALERMO – C’è un gran viavai di magistrati nella stanza al secondo piano del Palazzo di giustizia di Palermo. Molto più intenso di un’abituale giornata di lavoro. Tiene banco il rischio di trasferimento per incompatibilità ambientale che incombe, da oggi, sul procuratore Francesco Messineo. La prima commissione del Csm ha aperto la relativa procedura, contestandogli una gestione debole dell’ufficio e che non garantirebbe la necessaria indipendenza. La decisione è passata con il voto favorevole di tutti i componenti della Commissione, ad eccezione del laico del Pdl, Niccolò Zanon, che si è astenuto. Il procuratore di Palermo è stato convocato per il 2 luglio prossimo dalla Commissione. Con l’assistenza di un difensore, potrà difendersi dalle contestazioni che gli vengono mosse.

Tutte le accuse
Secondo il Csm, il rapporto privilegiato intrattenuto con l’ex procuratore aggiunto Antonio Ingroia avrebbero finito per condizionare le decisioni di Messineo. Una situazione che avrebbe determinato spaccature e incomprensioni nell’ufficio. Ed ancora: a Messineo viene rimproverato un utilizzo non continuo dello strumento dell’astensione rispetto ad alcune inchieste, come quelle che hanno riguardato il cognato e il fratello dello stesso Messineo. Il procuratore, infine, non avrebbe favorito la circolazione delle informazioni all’interno dell’ufficio. Un difetto di coordinamento, la cui conseguenza “sarebbe stata la mancata cattura del latitante Matteo Messina Denaro”. Così scrive il Csm nell’atto di incolpazione, citando l’accusa del procuratore aggiunto Leonardo Agueci. Uno dei più critici, assieme a Teresa Principato, sull’operato del capo.

Clima pesante in Procura
Le accuse riassumono il clima pesante che da mesi si respira a Palermo. L’ufficio della Direzione distrettuale antimafia è al centro di un grande intrigo fatto di inchieste scottanti, poltrone che scricchiolano e persino colpi bassi. Il caso Messineo esplode al Csm nel giorno in cui per il procuratore arriva una buona notizia da Caltanissetta. Il Gip, infatti, ha archiviato l’indagine aperta a suo carico per la presunta fuga di notizia legata all’ex direttore generale di Banca Nuova, Francesco Maiolini.

La faccenda venne fuori dall’intercettazione di due telefonate. Il 12 giugno dell’anno scorso Maiolini, che aveva ricevuto un invito per essere identificato, avrebbe riferito ad un avvocato e ad un dirigente bancario di avere saputo, tramite Messineo, a proposito di un’indagine per usura bancaria, che il fascicolo riguardava fatti del 2010 e non del 2009, come lo stesso Maiolini riteneva, e che era iscritto ancora a carico di ignoti. Maiolini era ascoltato, ma non indagato, in un’inchiesta su un presunto caso di riciclaggio che coinvolgerebbe altre persone.

La questione si ingarbugliò quando il procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari, si astenne dall’inchiesta, che fu affidata al procuratore di Catania Giovanni Salvi. Messineo, nel corso di un interrogatorio, si era presentato con il foglio dell’avviso di identificazione di Maiolini e un biglietto di Lari con su scritto “Un caro saluto, Sergio”. Messineo disse di averlo ricevuto, e protocollato, e di essersi occupato di Maiolini in seguito alla richiesta del collega nisseno. Che non ha mai fatto mistero di conoscere Maiolini. Ora Palazzo dei marescialli critica Messineo per le sue relazioni con “soggetti titolari del potere politico ed economico locale”. Il riferimento e’ all’ex manager di Banca Nuova. Il procuratore avrebbe invitato il suo sostituto Marco Verzera che indagava sulla presunta usura bancaria a “soprassedere in attesa di ulteriori acquisizioni”. Che i i rapporti fra i due fossero consolidati lo dimostrerebbe il fatto che Messineo in passato chiese a Maiolini “un posto di lavoro per suo figlio”.

E il caso finì al Csm, che ha convovato i colleghi di Messineo. A cominciare dagli aggiunti Leonardo Agueci, Maurizio Scalia, Teresa Principato, Vittorio Teresi e Lia Sava (che intanto è passata alla procura di Caltanissetta e a Palermo era titolare dell’inchiesta a carico del cognato di Messineo, Sergio Sacco, per associazione a delinquere finalizzata alla ricettazione. Anche il fratello del procuratore è finito sotto processo. E’ stato assolto in primo grado e prosciolto in secondo grado per prescrizione in un processo per truffa). L’attenzione dei consiglieri si è concentrata soprattutto sulla gestione della Procura da parte di Messineo e sui rapporti interni all’ufficio. Una gestione che oggi scopriamo essere stata valutata come indebolita.

I rapporti con Antonio Ingroia
L’inchiesta sull’usura bancaria era coordinata da Ingroia. Sul tavolo del magistrato, trasferito ad Aosta dopo aver fallito l’appuntamento con la politica, erano finite le intercettazione effettuate a giugno. Sei mesi dopo, e pochi giorni prima di volare in Guatemala per mettersi al servizio dell’Onu, il procuratore aggiunto aveva trasmesso il fascicolo, intercettazioni compresa, a Caltanissetta. Ingroia e Messineo hanno condiviso anni di lavoro spalla a spalla. Un rapporto, il loro, che ci riporta indietro al luglio del 2006, quando il Csm nominò Messineo nuovo procuratore di Palermo. La corrente di Messineo – Unità per la costituzione, il gruppo centrista con la maggioranza al Csm – aveva deciso di puntare su altri nomi. In lizza erano rimasti i procuratori aggiunti Guido Lo Forte e Giuseppe Pignatone, anche loro di Unicost e rappresentanti delle due anime che da anni si contrapponevano in procura a Palermo. E così alla fine tornò in auge il nome di Messineo, allora capo dei pm di Caltanissetta. Alla prima votazione Messineo si fermò agli 8 voti dei centristi, Pignatone ai 6 espressi dalla corrente di centrodestra – Magistratura indipendente – e dei laici della Casa delle libertà, Lo Forte ai 5 di Magistratura democratica, la corrente di sinistra. Alla seconda votazione Messineo raggiunse quota 16 preferenze. Su di lui, con un ribaltone che metteva in minoranza le correnti di centro e centrodestra, confluirono i voti di Md. Caduta la candidatura di Lo Forte, storico vice di Giancarlo Caselli, e pur di non votare Pignatone, erede naturale di Piero Grasso andato all’Antimafia nazionale, Md scelse di puntare su Messineo.

Dunque il patto fra Md e Unicost portò Messineo a Palermo. Negli ultimi tempi, però, il rapporto tra Messineo e Ingroia era sembrato vivere delle frizioni. Prima la decisione di Messineo di non firmare l’avviso di conclusione delle indagini sulla trattativa Stato-mafia. Poi, la presa di distanza dalle parole di Ingroia che definì “politica” la sentenza della Corte costituzionale che diede ragione a Giorgio Napolitano nel conflitto di attribuzione sollevato dal Capo dello Stato sulle telefonate con Nicola Mancino.

La mancata cattura di Messina Denaro
Infine c’è il capitolo Messina Denaro. A giugno 2012 scattò l’arresto di una ventina di mafiosi o presunti tali di Agrigento. Tra questi c’era Leo Sutera, indicato come il nuovo uomo forte della provincia agrigentina. Il suo arresto avrebbe mandato all’aria la pista che avrebbe potuto portare i carabinieri del Ros al boss di Castelvetrano. Il procuratore aggiunto Teresa Principato non le mandò a dire e scrisse una e mail ai colleghi della Dda, criticando la scelta del procuratore Messineo di dare il via libera al blitz. I carabinieri erano davvero convinti che la pista Sutera fosse quella giusta. Sutera era stato stato fotografato mentre ritirava dei pizzini la cui paternità sarebbe di Messina Denaro. Allora il procuratore aggiunto Vittorio Teresi difese la scelta di fare scattare il blitz. Si era data possibilità, senza esito alcuno, ai carabinieri di indagare e l’arresto di Sutera, come degli altri, non poteva più essere differito.

 


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