A Barcarello gli hanno detto che è “bello e buono” che “fa sangue” (alla palermitana) e una simpatizzante gli ha mandato, tramite nostro video, un bacio a schiocco, da recapitare sul palmo della mano. Al Borgo una folla festante ha salutato “il papà del reddito di cittadinanza”. Perché “chi dà il pane merita il voto”. A Ballarò, secondo i resoconti d’agenzia, ci sono stati abbracci, strette di mano, urla e abbanniate. Una signora ha gridato: “Sei bellissimo”. Un altro si è unito al coro dell’entusiasmo: “Si u miegghiu”. E lui, Giuseppe Conte (chi altri sennò), si è gustato la sua dolce e rinfrescante granita di popolarità, nonostante il caldo feroce, in un viaggio palermitano, a sostegno del candidato del centrosinistra, Franco Miceli, che gli ha riservato un metaforico arco di trionfo, circondato da una giubilante cornice di popolo.
‘U papà’ non è un appellativo casuale da queste parti e non si affibbia a muzzo. Ha aleggiato sul regno pluridecennale di Leoluca Orlando che tale veniva riconosciuto in certi contesti. Né lui disdegnava il rapporto di parentela. In una intervista – l’anticipazione di un testamento politico – con LiveSicilia, disse: “Ricevo amore in maniera morbosa. Io sono figlio, fratello e padre della città. Appaio come uno che racchiude tutte le paure e i difetti di un palermitano, perché comunico, dunque sono umano”. Era, nel linguaggio immaginifico del Professore, il riconoscimento di un rapporto diretto, quasi carnale. Di quella carne variamente declinabile che va dai fremiti della bellezza più rarefatta alla concretezza del sudore, del pane e panelle, degli abbracci dopo un gol del Palermo.
In effetti, si tratta di una definizione che ingloba due physique du rôle non sovrapponibili, apparentemente. Luca lo vedresti a suo agio in un salotto tedesco come davanti al carretto dello sfincionaro. Giuseppe, capo dei Cinque Stelle – qui immortalato nella sua pagina social – sembra (sembra eh) più una figura comodamente da inserire, oltre al resto, in un album costellato di partite di tennis e aperitivi. Eppure, nelle ultime ore calde e appiccicaticce, si è incastonato alla perfezione nella scenografia. E poi la porta girevole del linguaggio non mente mai. Se uno entra, mentre l’altro sta uscendo, qualcosa è cambiato.
E c’è qualcosa che non cambia, invece, se – come diceva Gian Maria Volontè, recitando da fuoriclasse – “il popolo è minorenne”. E tale resta, avendo sempre bisogno di un padre, di qualcuno che veda e provveda, di un’ombra salvifica a cui domandare “U purtau u pani papà”, nella felice battuta di uno sketch immortale che, dopo la risata a singhiozzo, spalanca l’amarezza del mondo. Ma non c’entra (soltanto?) l’arraffa arraffa con cui si vuole dipingere il reddito di cittadinanza, specialmente da parte di chi gode del suo reddito di casta. Ci sono persone che aspettano un padre purchessia per passare dal proletariato della caccia nel cassonetto all’aristocrazia dello scaffale di un supermercato. Nei cammini dolenti della miseria una scatola di pelati, da prendere e riporre nel carrello – perché, finalmente, a fine mese, riesci a comprarla – può avere la fragranza della dignità. (Roberto Puglisi)