Palermo, le divisioni e i silenzi dietro lo schiaffo di Franco Miceli - Live Sicilia

Palermo, le divisioni e i silenzi dietro lo schiaffo di Franco Miceli

Le accuse del candidato sindaco in pectore e tutte le cause che le hanno determinato
VERSO LE AMMINISTRATIVE
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Ieri è stato, infine, il giorno dello schiaffo di Franco Miceli. Il candidato sindaco in pectore del fronte progressista, del centro sinistra, ha ritirato la sua disponibilità a correre nella corsa alle prossime amministrative. Lo ha fatto con parole cordiali ma pesanti che invitano all’analisi. Il suo è stato un je accuse contro “la presenza di troppi conflitti ed il permanere di tante posizioni autoreferenziali”, contro il tentativo di “importare a Palermo schemi che sono frutto degli equilibri della politica nazionale”, contro i “tatticismi esasperati” e infine, contro il fatto che “l’interesse vero della città non è al centro dell’agenda politica.

Numerosi sono quindi i punti di questa storia da collegare: ci sono le parole di Miceli e di tutti coloro che hanno fatto inviti al senso di responsabilità. Ma a pesare sono stati i silenzi. Tanti e lunghi in questa storia. E infine le divisioni: qualcuno dice all’interno della coalizione, ma forse occorre dire all’interno di ogni singolo partito.

I silenzi su una candidatura lanciata ormai oltre dieci giorni fa sono forse il tema principale. Si tratta un lasso di tempo breve, è vero. Politicamente però è stato un tempo lunghissimo e logorante. La nomination del presidente dell’ordine nazionale degli architetti è stata nel frattempo esposta alla furia del dibattito politico, “dei tatticismi” appunto. Il nome è stato dunque indebolito. L’entusiasmo di pezzi della classe dirigente panormita non è stato sfruttato e così ha perso vigore. È mancato, appare indiscutibile, l’appoggio da parte dei big dei partiti, senza soprattutto un suggello da parte dei leader. Qualcuno ha apertamente frenato. “Conte ha fatto un incontro, a me non risulta che abbia avallato la candidatura di Miceli” aveva raccontato Nuccio Di Paola, capogruppo M5s all’Ars, a LiveSicilia, qualche giorno fa, palesando implicitamente i dubbi sulla candidatura.

Altri hanno lavorato nell’ombra per indebolire non tanto la candidatura dell’architetto ma il progetto su cui questa si fondava. E anche se, nelle parole dei leader cittadini è apparsa la fiducia che il fronte dei progressisti possa nascere; proprio quello si rivela essere è il problema. Miceli lo ha apertamente detto. È mancata la condizione prioritaria della “massima unità dello schieramento progressista in grado di costruire un rapporto forte tra politica e società”. Il tentativo è stato piuttosto un altro: “Importare a Palermo schemi che sono frutto degli equilibri della politica nazionale”. La spaccatura è presto descritta ed è interna ai due grandi partiti della coalizione: c’è chi vuole il fronte progressista e chi crede che la strada sia il modello Draghi o forse quello Ursula: spostare verso il centro la coalizione fino a includervi Azione, Più Europa (che già sono andate per la loro strada), Italia Viva e, chissà, anche Forza Italia.

Ed ecco che alle divisioni di metodo si sono sommate quelle personali. Mente a se stesso chi dice, infatti, che il proprio partito è compatto e se la candidatura non è andata in porto è torto degli altri. Forse il torto è piuttosto di tutti.

Nelle reazioni, d’altronde questo è deciso plasticamente. Ne ha parlato Dino Giarrusso riconducendo quanto accaduto a “errori che vengono commessi dal Movimento a causa di chi cerca di promuovere se stesso e rendere eterna la propria carriera politica”, ne ha parlato Sinistra civica ecologista chiedendo di “mettere da parte inutili tatticismi e svilenti personalismi”. Si è sommata la voce di Mariangela Di Ganci che ha denunciato la “tutela dei, sempre più piccoli, recinti personali e degli stessi gruppi dirigenti”. Lo ha detto anche Rosario Filoramo: “Palermo non sarà merce di scambio con le future candidature regionali”. 

Fare nomi e cognomi qui diventa complicato perchè la sensazione è quella di una guerra di posizionamento di tutti contro tutti. Certo si può dire quindi che le accuse sono più interne che trasversali. In ogni partito infatti c’è un invito diverso ma dello stesso stile a fare squadra. Una squadra che però manca: amara costatazione che avrà fatto Franco Miceli, decidendo il ritiro prima di cadere vittima dei fuochi amici. Meglio non candidarsi piuttosto che farlo e sperimentare l’emorragia di pacchetti di voi.

E adesso? Ieri la confusione nelle forze cittadini era palpabile. Da ciò che è filtrato c’è stato il tentativo di chiedere al presidente degli architetti italiani di ripensare la sua posizione. Se dovesse accadere cosa che anche stavolta non sembra puntellata dall’unità della coalizione occorrerebbe dare garanzie all’architetto. Difficile pensare possa essere possibile. Sembrerebbe essere stato così “bruciato”, mutuando le parole del deputato Ars Giampiero Trizzino, uno dei nomi più convincenti: certamente uno di quelli capace di mettere d’accordo tanti.

Diversamente si riparte da capo. Ma adesso il tempo stringe. Che la classe dirigente progressista – ma quella del centrodestra non è messa meglio – sappia scegliere il perimetro della coalizione e il candidato sindaco nei prossimi giorni è ormai un fatto inevitabile. Ogni giorno, però, sia a sinistra che a destra, si rinuncia a un giorno in più per riconnettere la politica con la città mentre l’appuntamento elettorale sembra essere un fatto irrilevante all’interesse dei più. “Mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata”

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