Palermo, il boss al cimitero con il costruttore che volevano uccidere

Il boss e gli incontri al cimitero con il costruttore che volevano ammazzare

Attraverso alcune società Franco Bonura controllava tanti cantieri

PALERMO – Incensurato e protetto dai boss dell’Uditore fino a diventare parte integrante della famiglia mafiosa. Così viene descritta la figura di Eugenio Avellino, imprenditore edile di 56 anni arrestato nell’ultimo blitz della squadra mobile. Stessa sorte è toccata al fratello Eugenio e al figlio Dario

Avellino sarebbe stato il braccio operativo dell’anziano boss Franco Bonura. Il volto pulito attraverso cui continuare a fare affari: dalla piccola ristrutturazione alla costruzione di interi palazzi. Un ruolo che probabilmente gli avrebbe anche salvato la vita. Dove c’è una impalcatura, in certe zone della città, lì c’è Cosa Nostra.

Per motivi che restato oscuri Avellino si era attirato le ire di Girolamo Buscemi arrestato nello stesso blitz. La Direzione distrettuale antimafia lo piazza alla guida della famiglia di Passo di Rigano.

Non sono mancate le spaccature e le tensioni. Poi la spartizione a tavolino a tavolino delle commesse ha sistemato le cose. Agostino Sansone, altro arrestato che avrebbe retto la famiglia di Uditore, riferendosi ad Avellino spiegava: “… quando piangevi e ti venivi a nascondere da me? E quando non potevi uscire da dentro… lo hai dimenticato? Che ti volevano rompere le corna”.

“Lo dobbiamo ammazzare”, dissero una volta. Poi la situazione si ricompattò in nome degli affari. I poliziotti hanno monitorato una serie di incontri alcuni dei quali organizzati nello studio di Avellino, in via Ciaccio Lo Monaco.

Il 22 giugno 2021 c’è stato il primo incontro fra Agostino Sansone e Bonura, già sottocapo della famiglia mafiosa di Uditore, subito dopo la scarcerazione del vecchio boss avvenuta il 13 novembre 2020. Scelsero il seminterrato di Avellino adibito ad ufficio.

Ed è qui che Bonura avrebbe comunicato la sua intenzione di acquisire il controllo delle imprese riconducibili ad Avellino. Chissà da quanto tempo studiava la mossa, anche quando era detenuto. Gli serviva “questo Avellino, il picciottello per farlo lavorare” e raccogliere i soldi. Soldi che servivano anche per lo storico capomandamento Michelangelo La Barbera, detenuto al 41 bis.

I Sansone – soprattutto Pino e Gaetano, fratelli di Agostino e oggi detenuti – in passato avrebbero sempre protetto Avellino, ma da quel momento in poi sarebbe passato sotto l’ala di Bonura. Ad eccezione degli affari già avviati con i Sansone.

Ad esempio il palazzo realizzato in via Ferdinando Albeggiani dalla “Futura società cooperativa, una delle imprese finite sotto sequestro contestualmente agli arresti. Senza l’aiuto economico di Agostino, che avrebbe pagato i debiti di Avellino, lo stabile non sarebbe stato completato.

“Noialtri siamo una famiglia”, disse Agostino Sansone a Bonura dando il via libera alla nuova stagione degli affari. Nei dialoghi captati si fa riferimento a interi palazzi da costruire in corso Alberto Amedeo e in via Vito Ievolella, magazzini e box in zona della città non identificata, e ristrutturazioni in diversi quartieri.

Parlavano di architetti da incontrare e presidenti di cooperative da convincere, di “ponti da montare” e “prospetti da definire“, di “progettisti da pagaree “quattrocento mila euro da pagare scadenzati”, di “lotti di terreno in via Uditore” con “indice di edificabilità tre metri cubi a metro quadrato, realizzazione di numero venti unità immobiliari da novanta metri superficie calpestabile”.

C’era un gran lavoro. Per discuterne Bonura e Avellino si davano appuntamento in luoghi insoliti, nella chiesa Regina Pacis o al cimitero dei Cappuccini dove sono stati pedinati. Del “sistema” per controllare i cantieri avrebbe fatto parte anche l’impresa di Dario Avellino, amministratore unico della Golden Blu Costruzioni srl finita sotto sequestro. Si tratta della stessa impresa che ha edificato lo stabile per conto della “Futura società cooperativa”.

A mediare gli incontri fra Eugenio Avellino e Franco Bonura sarebbe stato il fratello del costruttore, Giacomo Avellino, titolare di un bar all’Uditore. E di incontri ce ne sono stati parecchi. Il vecchio boss si dava un gran da fare per proteggere il patrimonio accumulato e per incrementarlo con nuove commesse. Mafiosi e costruttori, come sempre.


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