Chi era Mico Geraci, il sindacalista ucciso dalla mafia - Live Sicilia

Chi era Mico Geraci, il sindacalista ucciso dalla mafia

Una vita fra politica e impegno sindacale nella Uil

PALERMO – L’8 ottobre 1998 Domenico ‘Mico’ Geraci fu ucciso a fucilate davanti alla sua abitazione, a Caccamo, sotto gli occhi di suo figlio Giovanni, che allora aveva 17 anni. Provò a fermare il killer lanciandogli il vaso di una pianta. Era il gesto disperato di un ragazzo a cui stavano ammazzando il padre.

Geraci, 44 anni, sindacalista della Uil allevatori, voleva candidarsi a sindaco del paese in provincia di Palermo dopo avere lasciato la Dc per approdare nell’Ulivo. Aveva alzato il velo sulle anomalie del piano regolatore del Comune sciolto per mafia. Cosa Nostra controllava persino l’affidamento degli alloggi pubblici. Ai servizi sociali lavorava Rosaria Stanfa, moglie di Antonino Giuffré, detto Nino ‘Manuzza’, capo del mandamento di Caccamo, poi divenuto collaboratore di giustizia.

Stava rientrando a casa, poco dopo le 20:30, un killer scese da una Fiat Uno ed esplose sei colpi di fucile. Quando Giuffé si pentì spiegò di essersi opposto all’omicidio che avrebbe attirato l’attenzione degli investigatori. Altre famiglie mafiose spingevano per il delitto. Geraci dava fastidio. Una prima inchiesta fu archiviata 2002. Fra gli indagati c’era anche Bernardo Provenzano.

Domenico Geraci aveva iniziato a fare politica vent’anni prima. Nel 1978 fu eletto al consiglio comunale con la Democrazia Cristiana. In contemporanea era impegnato con il sindacato Uil e gestiva un patronato a Caccamo. Il suo punto di riferimento era don Giovanni Scaletta allora direttore della Caritas diocesana. Nel 1997 Geraci si era avvicinato all’onorevole Giuseppe Lumia,
allora esponente dei Democratici di Sinistra e componente della Commission parlamentare antimafia.

Voleva candidarsi a sindaco di Caccamo con una lista civica. Il 30 luglio 1998, poco più di due mesi prima dell’omicidio, in un incontro pubblico Geraci aveva apertamente preso posizione centre i mafiosi. Puntava il dito contro l’ingerenza dei boss nell’elaborazione del piano regolatore di Caccamo e nella gestione dell’acqua comunale.


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